Attualità enogastronomica

Ottenere o perdere una, due o tre stelle Michelin: di quanto aumenta o diminuisce il fatturato secondo uno studio

di:
Sveva Valeria Castegnaro
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Stella Michelin

Il professore e ricercatore Olivier Gergaud spiega i risvolti economici positivi ma anche negativi delle stelle Michelin

La Notizia

Ricevere o perdere una stella è tutto tranne che una mera questione di prestigio, di piatti e di talento dello chef, è anche una questione economica. Le ripercussioni positive e negative dei giudizi degli ispettori della “Rossa” del mondo gastronomico sono dimostrate e notevoli. Poichè un ristorante è una vera e propria impresa gli chef, quando si vedono innalzati o declassati nel firmamento Michelin, devono fare i conti con il rendiconto finanziario. È dimostrato che ricevere una stella aumenta il fatturato in media dell’80% in tre anni. "I prezzi aumentano dal 25 al 30% per livello. Ci sono più persone che vogliono mangiare nel ristorante, si acquisisce notorietà e fiducia con investitori e consumatori", spiega Olivier Gergaud, professore di economia alla “Kedge Business School” e ricercatore affiliato del “Liepp” (“Laboratorio interdisciplinare per la valutazione delle politiche pubbliche”) presso “Sciences Po Paris”.


Anche Joel Robuchon, uno che di stelle ne sapeva, aveva calcolato che il trend positivo dovuto alle stelle Michelin era del 20% in più con una stella, del 40% con due e del 100% con tre.

Se è tanto bello e, soprattutto, redditizio ricevere una stella quando la si perde son dolori. Da notare, poi, che perdere una stella provoca ben più chiasso e clamore che non conquistarla. E’ inevitabile una riduzione del giro d’affari, dei clienti e conseguentemente del fatturato, della fiducia e, soprattutto, dei soldi degli investitori. "In media, quando un ristorante perde una stella, vede la sua redditività scendere dal 3% di profitto al -2% in perdita", dice sempre Olivier Gergaud che per quindici anni ha lavorato in un gruppo di ristoranti che sono stati promossi o retrocessi nella Michelin.  "La guida Michelin è quasi una forma di monopolio. Questa situazione è dovuta agli investimenti, che seguono l'opinione dalla Guida Rossa, ma soprattutto dagli stessi chef, che si uniscono volontariamente al sistema", prosegue.


Uscire dall'impasse della perdita della stella non è certo facile. Gergaud, con le sue esperienze e i suoi studi, ha stimato che per passare da due a tre stelle o per riconquistare quella persa, gli investimenti necessari si aggirano attorno a 1,4 milioni di euro e quasi sempre per sborsare queste cifre si deve ricorrere a investitori e finanziamenti bancari. Esempio emblematico dell’estrema difficoltà di affrontare questa situazione è lo Chef Kevin Thornton, che quando nel 2016 perse la stella nel suo ristorante al “Fitzwilliam Hotel” di Dublino, vide scendere i profitti del 76% tanto che fu costretto a chiudere.


Nonostante Gwendal Poullennec, direttore internazionale della guida Michelin, abbia più volte dichiarato che nel processo di assegnazione “si guardano la qualità del prodotto, la padronanza della tecnica di cottura, l’equilibrio dei sapori, la personalità dello chef nel piatto e la coerenza complessiva” Gergaud fa notare: "Michelin assicura ufficialmente che viene giudicato solo il contenuto dei piatti, in realtà il giudizio dei critici è fortemente influenzato dall'impostazione del ristorante. Implicitamente, gli chef devono rispettare più standard, ad esempio la posizione. Difatti i ristoranti stellati Michelin si trovano spesso in quartieri esclusivi della città o in un ambiente eccezionale nelle aree rurali".


Forse proprio per tutte queste implicazioni e le recenti polemiche contro il sistema Michelin, vedi il “caso Veyrat”, Poullennec ha scelto “trasparenza” come nuova parola d’ordine nel processo di assegnazione delle stelle. Il suo obiettivo è “sviluppare un vero dialogo con gli chef per spiegare come funzioni il processo di assegnazione, per cercare di evitare futuri malintesi”. Il direttore ha proseguito affermando: “Troppo spesso quando i cuochi si arrabbiano è perché non capiscono le motivazioni che portano Michelin a fare alcune scelte o magari hanno ricevuto informazioni sbagliate, quindi è qualcosa su cui dobbiamo lavorare”.


C’è chi nell’attesa che le nuove direttive Michelin si concretizzino, per evitare i terremoti provocati dalle stelle, ha trovato un escamotage: restituire le stelle, che di fatto, però, sono di esclusiva proprietà Michelin o “creare una propria stella”. È il caso di Antoine Westermann a Strasburgo e di Sébastien Bras a Laguiole che, nonostante le tre stelle ricevute, hanno rinunciato ad apparire tra le pagine della “Rossa” accendendo, così, i riflettori sui loro ristoranti.  "Da quando hanno “creato le loro stelle”, non hanno abbassato i prezzi o il livello di qualità.  Lasciare la guida ha persino permesso loro di aumentare la redditività", spiega Olivier Gergaud. Nel caso di Sébastien Bras e del suo ristorante “Le Suquet” la holding collegata al locale ha quasi raddoppiato il proprio profitto con 205.118 euro nel 2017 e 396.235 euro nel 2018. Per quanto riguarda il rapporto debito/PIL, è passato dal 2,68% nel 2017 all'1,75% nel 2018.

Forse quella di “Le Suquet” è una vera e propria eccezione. L’ambizione e la rincorsa alla stella  da parte degli chef non si è certo fermata o rallentata, d’altronde il prestigio della “Rossa”, almeno per ora, non è certo messo in discussione.

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