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Spettacolo e concentrazione di gusto insieme: il nuovo corso di Ilario Vinciguerra a Gallarate

di:
Martino Lapini
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copertina ilario vinciguerra

Concentranesimo e spettacolaresimo: due opposte religioni della cucina che trovano un punto d’incontro nel nuovo menu di Ilario Vinciguerra. Ecco quali sorprese riserva l’esperienza gastronomica a a Gallarate.

Il ristorante

Quando proviamo un locale in cui non siamo mai stati prima, ci presentiamo con un bagaglio di pregiudizi, preconcetti, pre-idee, pre-opinioni. È inevitabile. A volte il preconcetto è il motivo stesso che ci porta in quel ristorante. A meno che non viviamo in una camera iperbarica - dove il cellulare “muore” con noi – e usciamo solo per mangiare, viaggiando su un’auto iperbarica.



Leggiamo, chattiamo, stalkeriamo i social dello chef. I dati che ci passano tra le dita e tra le connessioni neurali generano una rete di pensieri in cui l’aspettativa si interseca con il timore, la disillusione con lo stupore, il superpotere con l’umiltà, il doverismo con il piacere, il “quello che dicono tutti” con l’esperienza, il mettersi in ginocchio con il confronto, la fretta con l’osservazione. Insomma, è un bel casino. E tirare fuori qualcosa di commestibile, se non siamo in presenza di stand alone da standing ovation - rarissimo - non è affatto semplice. Compitino? Eh già, è capitato anche a me.



Poche sere fa sono stato a Gallarate, in un posto che in poco tempo sembra sia stato dimenticato più di altri, nonostante lo chef sia parecchio noto su instagram, grazie alla sua naturale predisposizione al videoposting e probabilmente grazie alle sue rubriche televisive. Warning: il pensiero appena esposto è frutto di una congettura scaturita da un pregiudizio.



Gallarate è un paesone piuttosto anonimo. C’è questa villa però, bellissima, a pianta quadrata e circondata da un bel giardino. Qui Ilario Vinciguerra ha costruito gli ultimi undici anni della sua carriera da chef. Al piano rialzato c’è il ristorante, sale accoglienti, arredate con un gusto in contrasto con la sovraesposizione del logotipo che raffigura una grande ì scritta in corsivo e una piccola v. Logo presente anche nella vistosa tenda nera all’ingresso.


Nei dintorni ha appena piovuto e l’aria è ancora carica di umidità. Ci fanno accomodare in terrazza, dal lato del giardino. Immaginiamo gli eventi, i banchetti all’aperto, la multifunzionalità di uno spazio, la serata di gala alternata a quella in cui sono le braci a farla da padrone. La sensazione è quella dell’inerzia, di una mancanza, forse della nostalgia.



Un giovanissimo responsabile di sala inizia il rito del calice di benvenuto e delle amuse bouche. Nel suo completonero-camiciabianca-cravattanera sembra più vecchio, senza luce, in bianco e nero, appunto. I nostri vicini di tavolo si appoggiano allo schienale delle loro poltroncine per cedere il palcoscenico del tavolo a un plateau di crudi di mare. Sembra una cena di lavoro. Vuoi mettere parlare di business mentre succhi la frutta di mare?



È il nostro turno. Il benvenuto è stato un po’ lungo, la decantazione un po’ macchinosa e poco oliata. Pretendere troppo da un giovanissimo responsabile di sala non è nostra intenzione. Eppure, abbiamo notato, ogni volta che si fermava al nostro tavolo per fare la sua parte, non quella tensione elastica, curiosa, distesa e pronta al dai e vai. Non quella di Kane e Maquire, per intenderci, piuttosto quella di Saka e Sancho.



I piatti

Di proposito lasciamo perdere la cronologia per focalizzarci su due periodi che in qualche modo sono anche due opposte religioni della cucina: il concentranesimo e lo spettacolaresimo. In cosa credere? Ognuno è libero di scegliere cosa seguire. Se tuttavia gli occhi, le orecchie e la mente possono essere fuorviati o ingannati, il palato, quando non è totalmente vergine alle diverse vertigini del gusto, difficilmente mente.


Da Ilario ritroviamo entrambi i movimenti, declinati nei suoi piatti. La più grande espressione di concentranesimo - il piatto che abbiamo apprezzato di più - è stata la Pancia di maiale, finocchietto e purea di mela annurca. Poca materia, molta pulizia. La pancia è sgrassata in acqua, poi bollita in una soluzione da 50 litri di soia, sakè, zenzero, cipollotto e lemongrass. Il brodo viene poi ridotto e ridotto e ridotto. Si ottiene mezzo litro di salsa ad alta intensità dolce-sapida. La purea di annurca è un concentrato dolce-amaro, che ben si inserisce nella soffice stratificazione della carne. Il finocchietto è un buffetto di freschezza.

Miseria e nobiltà



Lo spettacolaresimo sì è palesato nel piatto Miseria e Nobiltà, non solo evocando una celebre opera teatrale e il film con Totò. Una scatola di vetro dai profili metallici viene appoggiata davanti ai nostri occhi. Fumo, foglie, pietra. Non è la prima volta che interagiamo con un piatto che prevede fumo aromatico in diretta. Qui l’affumicante è il legno di faggio, l’affumicato un filetto di branzino accompagnato da una cipolla di tropea coronata con gemme di caviale.

Miseria e nobiltà



Il branzino viene marinato in egual quantità di zucchero e sale per tre ore. La consistenza è davvero impressionante, come se il pesce avesse vissuto un decennio sulla terra prima di essere sacrificato. Il connubio con la cipolla e il caviale lo eleva oltre la pietra su cui è appoggiato, almeno fino a pietra filosofale. Porca miseria, che buono. Il concentranesimo fa capolino e neanche tanto in punta di piedi. L’unico problema è che questo terrario di mare ha pareti troppo alte e noi non abbiamo reti o pompe ma solo posate, e raccogliere tutto il caviale è stato un lavoro archeologico.

Aragostella alla carbonara



Aragostella alla carbonara



Spettacolaresimo piuttosto puro per l’Aragostella alla Carbonara. Piatto dorato primo indizio, lo zabaione di tuorlo d’uovo e la polvere di tè Lapsang Souchong, secondo indizio. Il crostaceo cotto al vapore è sotto questa coltre semispumosa assieme a polvere di guanciale. E sotto un po’ ci rimane, nel senso che in bocca non guizza, se non per una differenza di consistenza.

Aragostella alla carbonara



Il Concentranesimo va anche al mare, non in ferie. Un grande piacere per noi, procurato dagli Spaghetti al nero di seppia, pil pil di baccalà e ricci di mare. Lo spaghetto utilizzato è quello del pastificio Vicidomini che inserisce il nero di seppia nell’impasto. Strati di concentrazione, svaniti nel tempo di un tuffo.

Spaghetti al nero di seppia, pil pil di baccalà e ricci di mare



Spaghetti al nero di seppia, pil pil di baccalà e ricci di mare



Con la Lasagna Moderna, presentata come un trittico di sfoglie cilindriche in piedi, siamo a metà tra le due religioni, un po’ disorientati. Un ego ha molto apprezzato la fattura della pasta - secondo il rito piemontese dei 32 tuorli - all’altro è mancata la consistenza della carne, presente sotto forma di concentrato, e lo scrocchiare della gratinatura.


Che serata, a mettere in discussione le proprie convinzioni, a cestinare alcuni pregiudizi e ad affinarne altri. Oltre ad essere più convinti che il Concentranesimo è l’ideale a cui vale la pena essere più devoti.

Foto: Crediti Andrea Monachello

Indirizzo

Ilario Vinciguerra Restaurant

Via Roma, 1 – Gallarate (VA)

Tel. +39 0331 791597

Email: eventi@ilariovinciguerra.it

Il sito web del Vinciguerra Restaurant

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