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Federico Zanellato: come uno chef veneto è diventato un mito in Australia

di:
Alessandra Meldolesi
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“L’Italia? È stupenda e dispone di materie prime eccezionali, ma il palato degli italiani è ancora troppo legato alla tradizione. Se sono partito, è stato sì per mancanza di opportunità, ma anche per cucinare senza schemi”. La storia di Federico Zanellato.

L'intervista

Cervelli in fuga, e sopra le teste le toque, anch’esse in fuga. Siamo abituati a considerare l’emorragia nazionale di talenti come un problema di sfruttamento, deflazione salariale, precarietà e via lamentando. Eppure, nella scelta che alcuni giovani cuochi compiono di stabilirsi all’estero, potrebbe esserci anche dell’altro. Lo lascia intendere Federico Zanellato, chef del celebrato LuMi di Sidney, passato per gli insegnamenti di Seiji Yamamoto al Ryugin e René Redzepi al Noma.


Zanellato definisce la sua cucina un mix di cuore italiano e mente giapponese, dalla selezione al mercato al rigore delle elaborazioni; la scena però non è né Piazza Navona né City Life. “Ho scelto l’estero a 18 anni, cominciando da Londra. Poi, a eccezione di cinque anni trascorsi a Roma, dal 2005 al 2010, non sono più rientrato professionalmente parlando, fra il Giappone e l’Australia, dove vivo dal 2010. Inizialmente è stata una decisione dettata dallo stile di vita, considerato che l’Italia nei primi anni zero non offriva grandi speranze ai giovani e attraversava un periodo sociopolitico che lasciava a desiderare. Poi è uscito fuori anche dell’altro”.


Come descriveresti la scena gastronomica australiana?


L’Australia e un melting pot di diverse culture: non avendo una tradizione culinaria forte, come l’Europa, l’approccio è molto più aperto e sperimentale verso i prodotti e le cucine provenienti da diversi background gastronomici. Si cucina senza schemi e senza preconcetti. L’Italia dispone di materie prime eccezionali, ma il palato italiano è ancora molto legato alla tradizione. Una conseguenza di questo melting pot è che di cucine asiatiche, in particolare, se ne trovano a ogni angolo. Ma di recente abbiamo assistito anche a un boom di trattorie ispirate alla tradizione romana e bistrot di stampo francese. Le grandi città offrono cucine provenienti da tutto il mondo e alcuni chef stanno sperimentando i prodotti autoctoni, utilizzati in passato solo dagli aborigeni.



Che vantaggi ci sono sotto il profilo economico e dell’organizzazione del lavoro?


L’Australia è un paese molto “business driven”: se fai il tuo lavoro bene, riesci a operare facilmente e anche a generare profitto. Il costo della manodopera, tuttavia, è molto alto ed è anche molto difficile reperirne di specializzata, considerata la distanza dagli altri paesi.

Torneresti in Italia?


Mai dire mai, forse quando smetterò di lavorare e avrò assicurato un futuro alle mie figlie.

L’Italia è stupenda e vi trascorriamo le vacanze ogni anno, purtroppo non ci ha offerto le medesime opportunità dell’Australia. Qui abbiamo in itinere diversi progetti, cominciando dall’espansione del nostro brand “Lode Pies”. Per quanto riguarda i ristoranti, stiamo valutando il post LuMi. Nel frattempo, mi piacerebbe lavorare con la pizza, che al momento è una grande passione.


Foto di copertina: @ Louie Douvis

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