A tutta birra

Langhe non solo vino: Boia Faüss la sfida della birra artigianale nel regno del Barolo

di:
Alessandra Meldolesi
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boia fauss

La Storia

Dici Alba e pensi Langhe=Barolo= rosso profondo. Equazioni automatiche che nel 2014 Diego Morengo ha avuto l’ardire di provare a scardinare, lui che in Baden-Württemberg si era distinto piuttosto nel sollevamento pinte. “Boia faüss”, era proprio il caso di esclamare. Che in piemontese sta per “porco boia”, imprecazione da eiettare in caso di stupore e di rabbia incontenibile. L’insegna del suo microbirrificio, sottotitolato “pensavo peggio”. Perché perfino all’ombra del re dei vini c’è spazio per Gambrinus.


La birra per Diego, figlio di un contadino che si faceva il vino in casa, è stata una scoperta durante la naja, su insistenza del commilitone, oggi socio birraio, Ivan Castagno. “Semplicemente a quei tempi non c’erano le birre interessanti, che oggi come oggi abbiamo la fortuna di poter degustare quasi ovunque”. Sono seguiti 15 anni da homebrewer (“con pessimi risultati, almeno a mio modesto parere”), un corso presso l’università di Udine, per approfondire la tecnica di produzione, e un decennio speso da titolare di un locale, dove la birra la faceva da padrona. “Finché non ho trovato il coraggio di vendere l’attività e partire alla volta della Germania, per capire come mai la loro birra fosse così… birra. L’ho scoperto grazie al bellissimo rapporto di amicizia che si è creato con il mastro birraio che mi ha accolto e che alla fine, per problemi di salute, mi ha venduto il suo impianto. Nel 2014, quando abbiamo aperto, è venuto personalmente ad Alba per seguire la partenza del primo e unico birrificio cittadino”.


A distanza di un lustro, il brewpub di Corso Langhe serve 200 ettolitri di birra l’anno, contaminando il genius loci langarolo con paradossali influenze tedesche e connotazioni anglosassoni. In luoghi di pellegrinaggio enogastronomico, dove le zolle vitate hanno conquistato le pagine dei giornali finanziari per le loro quotazioni milionarie, attirando investitori internazionali assetati, sono stati gli appezzamenti meno vocati a finire nel mirino. “Ho aperto una piccola azienda agricola chiamata Cascina Steilot (come quella di mio nonno mezzadro) e con questa produco il 95% dell’orzo che utilizzo per le mie birre. Dopo 5 anni di esperimenti ho scoperto che i terreni di alta Langa, organicamente più poveri e quindi meno appetibili per altre colture, sono in realtà ottimi per questo cereale, che necessita di un giusto equilibrio tra proteine e amido. Punterei sulle materie prime per spingere la nostra birra artigianale. Siamo un mito alimentare planetario. Sfruttiamo questo per dire: la nostra birra è davvero made in Italy”.


“Il mio rapporto con il vino resta ottimo”, assicura Diego. “A differenza di molti birrifici, nel mio locale birra e vino vanno a braccetto: contano la qualità e la provenienza, rigorosamente locale. Secondo me i due mondi possono tranquillamente convivere, direi anzi che li vedo viaggiare in parallelo, ben ravvicinati e nella stessa direzione. Ma non si dovranno mai intersecare. Sono risolutamente contrario ai miscugli che oggi molti propongono, come l’IGA, Italian Grape Ale, dove mosti di uva e orzo vengono uniti per produrre una bevanda alcolica inclassificabile”.


A riprova dell’attaccamento verso i luoghi, i nomi delle birre in catalogo sono tutti dialettali, con una carica ironica che solo chi è del posto può cogliere, spiegata volentieri agli stranieri. In tutto si tratta di 7 tipologie:

Tre püpe, bitter ambrata in stile anglosassone dal gusto morbido, con finale amaro ed erbaceo dovuto al luppolo inglese;

Duebàle, stout di forte personalità dalle note di caffè e cacao, quasi senza gas, spillata direttamente dalla botte;

Lingèra, pils prodotta nello stile della foresta nera bavarese, secca con profumi freschi e accenti floreali, dal finale erbaceo amaro e dalla carbonizzazione media;

Sànsa Cunisiùn, amber bock fedele alla tradizione tedesca, dal caratteristico gusto di doppio malto, morbida e rotonda fino all’armonioso finale amaro;

Rusa d’Cavèi, red bock in stile tedesco, doppio malto dalle note di caffè tostato e liquirizia, con chiusura delicatamente frizzante;

Perdabàle, pale ale ambrata in stile anglosassone dall’intenso gusto di malto con note di fieno di montagna, limone e cedro amaro grazie al luppolo americano;

Parlapà, pale ale in stile anglosassone, dalle note di malto e dal finale amaro agrumato grazie al luppolo americano.

Wine Reporter

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