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Magnolia in fiore, la sterzata mediterranea di Cristoforo Trapani a Forte dei Marmi

di:
Alessandra Meldolesi
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magnolia in fiore la sterzata mediterranea di cristoforo trapani a forte dei marmi 92d5

Generazione vent’anni. Alle fila della giovane cucina italiana si aggiunge oggi Cristoforo Trapani, chef entrante del Magnolia dell’Hotel Byron. Nei suoi piatti l’essenza del Mediterraneo applicata ai prodotti della Versilia.

La Storia

La storia di Cristoforo Trapani


Sarà la primavera planata su Forte dei Marmi, già affollata di turisti con il profumo di pineta fra i capelli e la resina sotto gli zoccoli, nel via vai dentro e fuori le boutique del centro. Ma la Magnolia dell’Hotel Byron, ristorante spazzato dalla brezza del lungomare oltre la strada, sta fiorendo altrimenti in questo mese di aprile, scaldato da schiarite improvvise dove affondano i colpi d’ala dei gabbiani. Nell’aria esuberanze floreali schizzate da note iodate, con un ricordo di balsamico lontano fra gli intarsi variopinti della villa liberty, oppure a bordo piscina, dove si può sedere oltre il prato e la magnolia, esile e flessuosa, per un aperitivo con amusebouche e calice di bollicine. Cannolicchi, crostini mignon di fegatini e gelatina all’Aleatico, pizzetta fritta, un indimenticabile scampo crudo servito nella lattuga di mare, finger food dalla sapidità naturale. Qualcosa è cambiato in cucina, e non fa rimpiangere l’ottimo Andrea Mattei, il cui talento sotto questi fiori ha prosperato per ben 11 anni, prima di trasmigrare a Borgo Santo Pietro per dare inizio a una nuova avventura.


“What you see is what you see”, “what you taste is what you taste”. Parafrasare Frank Stella può servire per descrivere la cucina di Cristoforo Trapani, giovane chef di origini sorrentine che Salvatore Madonna (alla guida anche del Green Park Resort, dove officia Luca Landi, e dell’Hotel Plaza e De Russie di Viareggio) ha fortemente voluto al suo posto. Ventisette anni iniziati girellando per il negozio di frutta e verdura dei genitori, a Piano di Sorrento, le mani affondante fra i pomodori al posto di costruzioni e soldatini; il naso nel profumo inebriante degli agrumi della costiera. Una Capri-Batterie, per citare Joseph Beuys, che non ha mai smesso di illuminare la sua cucina.


“Che sarei diventato un cuoco, l’ho saputo fin da ragazzino. Per questo mi sono iscritto all’alberghiero e ho subito iniziato a lavorare nei ristoranti della zona. Però non mi bastava, sentivo che volevo molto di più. A quei tempi vedevo spesso Heinz Beck e mi piaceva il suo modo di fare, l’essenzialità che informava i suoi piatti. Così mi sono risolto a inviargli tre righe, senza contarci per nulla. E alla Pergola ho trascorso oltre un anno, girando diverse partite. Per me, che venivo da ristoranti da battaglia, è stato uno choc. Lo chef era particolarmente severo, probabilmente perché ci teneva. Mi ha trasmesso soprattutto la pignoleria”.

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Polpo e patate, maionese ed erbe di campo
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Risotto aglio, olio e peperoncino, ostriche e limone
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Non è l’unico nome ingombrante su un curriculum che infila altri tre magisteri. Prima Antonino Cannavacciuolo, apripista di un’alta cucina campana da esportazione, che sta conquistando il nord Italia, soprattutto nel campo dell’hôtellerie, grazie all’egemonia mediterranea sull’immaginario dell’italianità. A Trapani ha trasmesso un’impronta di pulizia e minimalismo, il senso per piatti composti da 3 o 4 ingredienti di altissimo lignaggio, sempre riconoscibili, trattati in modo ottimale e combinati in vista di un grande risultato. Poi Moreno Cedroni e Davide Scabin, per un viraggio contemporaneo e avanguardista che ha lasciato traccia di sé nei piatti più complessi. I galloni dello chef arrivano a Piazzetta Milù, a Castellammare di Stabia, trampolino di lancio per il tuffo nella celebrità: nello stesso anno Trapani strappa il titolo di chef emergente per la guida Espresso e chef emergente del sud Italia per Luigi Cremona. Il resto è attualità.

 

 

I Piatti

Coniglio grigio di Carmagnola alla cacciatora e non solo, patate di campo all’orzo

La fusione è in atto, fra le diverse influenze, le origini e la location attuale, di cui si è fatto anfitrione Davide De Lucia, già secondo di Mattei, rimasto al suo posto con le ricette del pane e una mappa di fornitori locali. Di fatto gran parte degli ortaggi continueranno ad arrivare dal negozio di famiglia e in generale dalla Campania. Per esempio gli strepitosi San Marzano, che trionfano sulla pizzetta fritta, in attesa della messa a punto di uno spaghetto definitivo con un grande olio e un grande aglio. Niente più. Arrivano dai campi di Dario Montoro, dove Trapani ha scelto e fatto lavorare per sé i filari meglio esposti, in modo da alternare al prodotto fresco una conserva eccellente. La pasta è di Gragnano, il pesce e l’olio toscani. Di origine varia le carni: il piccione di Camaiore, il coniglio di Carmagnola, i bovini della Granda.

Il carciofo “violetto di Schito” arrostito lardo di Colonnata, aglio e prezzemolo

I gusti primari sono nitidi nei piatti, concreti ma affatto ingenui sotto il profilo tecnico e concettuale. Per esempio il carciofo di Schito, ispirato a uno street food della Campania, già riesumato, in forma ben diversa, da Agostino Iacobucci ai Portici di Bologna. Forse il piatto più aggressivo del menu, per l’intensità dell’ortaggio alla brace bilanciata dalla grassezza del cremoso di lardo di Colonnata (a sostituire la pancetta della ricetta originale), che da quell’amaro è sgrassato. Il primo banco di prova per la contaminazione suggerita da Salvatore Madonna, collocata da Trapani sul piano degli ingredienti nei singoli piatti piuttosto che fra diverse linee della carta. Il prezzemolo è sostituito dalla spugna al microonde che evoca una panatura, caso raro di utilizzo di tecniche spagnole (a seguire anche il sifone); per ricostruire la sensazione di strada i tizzoni sotto la cloche scoperchiata al tavolo, con le foglie esterne dei carciofi bruciati, in un contrasto stridente fra riti aristocratici e grinta plebea.

Spaghettone di Gragnano al pomodoro giallo e burrata, gamberi rossi e cotenna soffiata

“Mesca francesca” con arselle, vongole e maruzzelle, crema di fagioli schiaccioni

Ma sono le paste secche, finalmente, a dettare legge a tavola. Per esempio gli spaghettoni serviti con fonduta di pomodoro giallo, burrata, gambero rosso crudo e cotenna soffiata. Anche qui un pomodoro selezionato, fatto lavorare per sé in Campania, scelto per la sua acidità e smorzato dalla grassezza e dalla dolcezza della burrata, abbinata come si fa sempre più spesso a un ingrediente del mare. L’ultimo dei contrasti è con la cotenna croccante, che fa un po’ le veci della spolverata di pane.

Oppure la Mesca francesca sulla falsariga del piatto popolare con le cozze, specialità della nonna di Trapani, dove la fusione con il territorio è saldata dai fagioli schiaccioni, tipica varietà pietrasantina, e dai molluschi tirrenici (vongole, maruzzelle e telline). Mentre con i gusci viene preparato il brodo in cui è cotta la pasta, per evitare eccessi di sapidità ed esaltare gli aromi. Ne risulta un vivace gioco di testure, fra il velluto dei legumi passati, la tenacia del pesce, il morso sempre diverso della pasta, forma del gusto in senso scabiniano. E ancora la panna prosciutto e piselli, comfort food provocatorio, dove la pasta è mantecata con latte e fondo bruno e nascosta dalla spuma, secondo un topos avanguardista; più una spolverata di polvere di buccia di piselli e polvere di prosciutto, germogli di aglio e di basilico. Fino a evocare un prato che ha tutta la sofficità di una capriola nell’infanzia.

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Come il cacciucco pesce di scoglio, crostacei e molluschi cotti e crudi
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Piccione, mela annurca e tartufo nero di San Miniato lampascioni e funghi pioppini

La familiarità con l’avanguardia si palesa nel Cacciucco, che recupera lo schema della variazione portato al successo da Pier Bussetti, ma lo declina secondo tendenze più recenti, che contrappongono il crudo al cotto, sulla falsariga della cotoletta sbagliata di un genio chiamato Matteo Baronetto. A separarli nient’altro che un crostino di pane irrorato al tavolo di zuppa setacciata di pesce di paranza. Un omaggio intenso al territorio, flashato dal solito lampo della Capri-Batterie di scorza sorrentina. Sinestesia di colore, gusto, sentimento ed energia. Nel comparto carni si segnala invece il piccione spadellato con mela annurca, funghi pioppini, tartufo nero di San Miniato e lampascioni glassati, le cui cosce sono servite ripiene di fegatini e fritte.

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Babà al Vermouth di Prato zabaione, frutta e verdura
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Cioccolato e cacao La Molina mousse e caramello
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Anche i dessert esplorano l’universo vegetale, passione dello chef; vedi zucca, asparagi e crème brûlée, composto di purea e meringa ghiacciata alla zucca, asparagi ripieni di ganache sempre alla zucca, mousse al cioccolato bianco e biscotto al malto. Tanta Campania nel finale, con il babà al vermut di Prato e le sfogliatelle servite come piccola pasticceria. Le bottiglie da stappare sono 1500: risalta una selezione creativa del territorio oltre ai must drink francesi, tutti a cura di Salvatore Madonna.


 

Tutte le fotografie sono di Lido Vannucchi

Indirizzo

Ristorante "La Magnolia" c/o Hotel Byron

V.le A. Morin, 46 - 55042 Forte dei Marmi (Lucca)

Tel. +39 0584 787052

Mail: info@hotelbyron.net

Il sito web del ristoranet La Magnolia

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