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Liguria eroica: la cucina di Massimiliano Torterolo a La Locanda dell’Angelo

di:
Alessandra Meldolesi
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A Millesimo un grande interprete dell’entroterra ligure: sul piatto l’eleganza mutuata da Andrea Berton e Flavio Costa, in una formula 100% territoriale per ingredientistica, anche spontanea, e dimensioni “alla mano”.

La Storia

La Storia di Massimiliano Torterolo


Rigore della materia prima, elaborazione espressa, dimensioni raccolte e sensibilità a fior di pelle: bisogna conoscerla e amarla la ristorazione ligure, dove piccolo è bello, come si diceva una volta, anzi piccolo è “mano”. Le brigate dei ristoranti anche stellati sono insolitamente sparute, talvolta composte solo dello chef e di un aiuto, mentre della pasticceria si occupano mogli e sommelier tuttofare. Sembrerebbe un handicap, invece come spesso accade è una virtù: tutto quel che si mangia è autografo. Il piatto diventa il punto di incontro fra uno dei territori più vocati d’Italia e la manualità del suo autore, in una forma di artigianato che altrove ha ceduto il passo ad altri approcci hand to plate.       È il caso, esemplare, di Massimiliano Torterolo, giovane chef che racconta con il linguaggio delle mani il suo terroir: la Val Bormida, nel primo entroterra ligure. Proprio sul letto del fiume, per così dire yeux dans l’eau, è acquattato suggestivamente il ristorante, le cui vetrate sembrano massaggiare l’umore con il passaggio delle acque. Le scavalla un ponte medioevale, simbolo di Millesimo, che proietta la sua avventurosa passerella verso il vicino Piemonte. Fra Savona e la selva oscura, un ristorante custodito con gelosia tutta ligure, ricavato in una cantina addossata alle mura medioevali, rimaneggiata in chiave minimal valorizzando le pietre di fiume originali, riscoperte, scavate, lucidate.

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Proprio a Millesimo Torterolo è nato e infine ritornato. Nel mezzo, dopo l’alberghiero a Finale Ligure, un passaggio da Mariuccia Ferrero a Canelli, primo stellato di impronta classica, primo scalino a marcare un’ascesa; un anno di Albereta con Marchesi e Berton, “una delle figure che per mestiere e carisma mi ha influenzato di più, mostrandomi fin dove si può arrivare”; soprattutto cinque anni abbondanti al fianco di Flavio Costa all’Arco Antico. “A Erbusco mi ero fermato nella partita del pesce. Volevo compiere un’esperienza meno settoriale e mi sono rivolto a Palluda, che però era pieno e mi ha indirizzato da Flavio. Lo considero il mio maestro, colui con cui ho subito trovato l’intesa a livello di cucina, prodotto, cotture e accostamenti. Facevamo viaggi pazzeschi per caricare una cassetta di gamberi a Imperia o il foie gras in Francia: materie prime che dovevano sempre essere al top della freschezza, a qualsiasi costo”.

E l’impronta di Costa, per tanti anni miglior chef ligure in Liguria, è inequivocabile nella preminenza della mano e nell’eleganza al palato, nell’attitudine da solista e nella devozione verso il vivo e l’espresso, perfino in dettagli come le creme vegetali e una solitaria scorzetta citrina, con svolgimenti leggermente meno classici, più mediterranei e vibranti, a tratti quasi inquieti nell’impiattato.

Alla Locanda dell’Angelo, dove Massimiliano opera da 5 anni, di cui due da patron, anche l’habitat è differente: non più solo mare, ma una terra da camminare.  Lui lo fa chef randonneur alla Michel Bras, per dirla con Roberto Mostini, portando avanti un lavoro inestimabile sul territorio: più che chilometro zero, è un chilometro fortunato grazie al pesce di Savona, abbattuto solo se indispensabile; alle carni di razza piemontese della macelleria del paese; alle mirabilia vegetali di Calizzano, da cui arrivano patate, topinambur, castagne essiccate e affumicate sui tecci, cavoli navoni e tuberi vari; ai pesci di acqua dolce e ai selvatici locali quali cervo e lepre. Né manca il foraging: “Appena ho un paio di ore libere, nel pomeriggio o durante il giorno di chiusura, vado a pescare nel ruscello o raccogliere erbe, bacche e funghi sul monte. Una passione di famiglia, che ho ereditato da mio padre e approfondito studiando i fiori eduli e le erbe per la liquoristica. Raccolgo di tutto secondo la stagione: luppolo selvatico, ortica, verbena, arquebuse, fragoline di bosco e mirtilli, carote selvatiche, raperonzoli, topinambur selvatici di fiume”.

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Tanto è rustico il paniere, quanto elegante la cucina, seppure approntata in solitario con un unico aiuto: quella di Torterolo è a tutti gli effetti una ristorazione eroica, eseguita per un pugno di coperti nel deserto gastronomico della sua zona. Ne è complice Francesca Matta, sarda trapiantata in Liguria, cuoca prima di sposare Massimiliano e trasvolare in sala. “Pian piano stiamo rinnovando la carta dei vini, che vogliamo restringere a una sessantina di referenze sottoposte a rotazione, privilegiando le piccole cantine e il territorio, incuneato com’è fra la Liguria e il Piemonte. Sorsi poco invasivi, che possano accompagnare una cucina delicata”, dice.

I Piatti

pane
Oltre alla carta con due proposte per categoria, ci sono due menu degustazione a sorpresa, composti di 4 e 7 portate rispettivamente a 50 e 90 euro. Nel cestino del pane focaccia al rosmarino, pane ai cereali e alle nocciole, cracker di grano saraceno preparati con le farine macinate a pietra del vicino Molino Moretti.

L’amuse-bouche
L’amuse-bouche    è un rocher di trota affumicata a caldo, passata in un crumble salato di pan brioche tostato e camomilla con spuma sifonata di latte alla camomilla fresca. “Si tratta di una tecnica che mi appassiona per il gusto di camino. L’ho utilizzata anche in autunno su un piatto di calamari marinati in sale, zucchero muscovado e pepe rosa per 20 minuti, sciacquati e affumicati il giorno dopo, tagliati finemente e croccantati in padella come bacon. Sul piatto con purea di scorzonera al latte e burro nocciola, radice spadellata al momento, scorza di cedro, polvere di radice di liquirizia, gomasio di sesamo nero e chips di topinambur”.

Insalata di funghi prataioli
Ma il benvenuto vero e proprio è sempre un’insalata, in questo caso di funghi prataioli sottaceto con friabile di Parmigiano, semi di zucca tostati, dragoncello, maggiorana, menta, melissa e un succo di cipolla di Tropea caramellata, che è quasi un Balsamico sui generis, per aprire lo stomaco con l’acidità, senza sovraccaricare il palato. E poi l’uovo di quaglia lessato, farcito con un gambero all’olio al carbone di timo, spolverizzato di polvere di bottarga su emulsione di avocado al limone e scorzetta di limone candito.

scampi all'aceto
Gli scampi appena spadellati sono serviti con pomata di albicocca all’aceto di Sauternes, bisque, panissa croccante, dragoncello e fiori di sambuco che sul piatto caldo sprigionano il loro profumo di polline. Quasi una riedizione della passatina con i gamberi, o comunque di italianissimo pesce coi legumi, giocata su diverse sfumature di dolcezza e acidità, tutta in finezza anche cromaticamente nel pantone degli aranciati.

salmerino alpino
Mentre il salmerino alpino, cotto all’unilaterale, è guarnito da un’emulsione di insalatine piccanti e grasse alla verbena con germogli di canna di bambù per la testura simile ad asparago, alga nori spadellata al timo a spingere l’erbaceo e la consueta scorzetta in stile Costa. Un paesaggio fluviale commestibile dove ancora una volta lascia il segno la padella, strumento di cottura prediletto. “Perché la sensibilità mi appartiene più del controllo”.

coniglio alla ligure
Il coniglio di un’azienda agricola di Bormida (come le uova) è servito con le cosce e le spalle sfilacciate, legate da una confettura di scalogno al Pigato passito e al timo, il filetto spadellato con il suo fondo, rigaglie, pomodorini confit bruciati sulla piastra di ghisa e pestun di fave.

tortelli
I tortelli, simili a grossi plin, sono preparati con una pasta 30 tuorli e una farcia di polpa di piselli con menta, patata lessa e cipollotto; vengono saltati nel burro al succo di zenzero per il piccante citrino sulla dolcezza e serviti con altri piselli appena conditi, fondo bruno di calamari completi di occhi e nero, calamaretti spillo tostati al momento all’unilaterale. “L’immediatezza della lavorazione alza il livello di profumi e consistenze: è una delle lezioni più importanti di Flavio per la vitalità del piatto. All’Arco antico la linea era minima, perfino la bisque era espressa”.

vacca extra frollata
Il carré di vacca extra frollata è cotto al momento della comanda con burro e bouquet garni, poi servito con una piccola scaloppa di foie gras per l’effetto Rossini, fragoline di bosco selvatiche  saltate nell’olio con il loro ketchup (una confettura poco dolce emulsionata a freddo con olio, senape, Tabasco e aceto, in stile salsa rubra) per l’acidità, soprattutto un fondo bruno molto ridotto, affumicato su un piatto di bambù traspirante con trucioli accesi soffocati da trucioli verdi, per l’effetto bosco che riporta a una passeggiata sui monti.

yogurt
Chiude la spuma sifonata di yogurt di capra di Cairo Montenotte con lamponi schiacciati alla forchetta, composta di limone alla salvia, meringa, scorza di limone essiccata in polvere, servita nel barattolo dentro un cofanetto con tutte le foglie, per un riassunto olfattivo dell’Appennino Ligure.

piccola pasticceria
La piccola pasticceria comprende brutti ma buoni di noce e nocciola, baci di dama, cioccolatini al tè matcha, amaretti alla farina di cocco su emulsione di mango.

Tutte le fotografie sono di Roberto Mostini alias Il Guardiano del Faro

Indirizzo

Ristorante La Locanda dell’Angelo

Via Roma, n 32 - 17017 Millesimo (SV)

Tel. +39 019565657

Mail info@lalocandadellangelo.eu

Il sito web del ristorante 

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