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Chi è Michel Rolland, l’enologo più influente del mondo che segue 150 aziende in 13 paesi diversi

Ad oggi Michel Rolland è senza dubbio l’enologo più influente del mondo: segue 150 aziende in 13 paesi, mentre altre 400 usufruiscono dei suoi laboratori di enologia per svolgere ricerche e analisi.

Di
Alessandra Meldolesi
-
14 novembre 2020
0
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La Storia

Molti lo hanno conosciuto assistendo a Mondovino, il documentario di Jonathan Nossiter datato 2004: enologo non meno invasivo che pervasivo, “winemaker volante”, come è stato definito per le bandierine che ha piantato sulle vigne di tutto il mondo. Faceva parte della schiera degli antieroi, mercante in un tempio di botti, cui si opponevano poetici vignaioli dalle mani callose e sognatori solitari. Ma le cose stanno davvero così?

Ad oggi Michel Rolland è senza dubbio l’enologo più influente del mondo: segue 150 aziende in 13 paesi, mentre altre 400 usufruiscono dei suoi laboratori di enologia per svolgere ricerche e analisi. Nato nel vino, da una famiglia di vignaioli, è cresciuto a Château Le Bon Pasteur, la tenuta di famiglia a Pomerol. Ed è stato studiando enologia a Bordeaux che ha conosciuto sua moglie Dany, con la quale oggi possiede altre realtà, Château Bertineau St. Vincent, Rolland-Maillet, Fontenil, La Grande Clotte. Ma sono 80 le aziende vitivinicole nel Bordolese che in un modo o nell’altro sono riconducibili a lui, in veste di enologo o di consulente. E nel tempo ha dilagato nella Napa Valley, dove conta aziende prestigiose come Bryant Family, Harlan Estate, Dalla Valle Vineyards, Screaming Eagle. E ancora Argentina, Cile, Israele, India, Italia e Sudafrica, fra gli altri.

Insieme ai suoi consulenti segue l’intero processo produttivo, dalla vigna all’assemblaggio, il suo punto di forza, passando per le pratiche di cantina. Sempre con uno stile riconoscibile: teso verso il frutto e propenso al legno. Non senza understatement confessa: “Ignoro cosa sia uno ‘stile’, mi piacerebbe trovare una definizione. Per tutta la vita ho cercato di fare un vino che piacesse ai consumatori e i miei 48 anni da enologo mi hanno regalato soddisfazioni”.

Per farsi un’opinione, avverte Forbes, non è indispensabile svenarsi: se è vero che alcune bottiglie firmate Rolland possono superare i 500 dollari, Clos de Los Siete, uvaggio a prevalenza malbec prodotto in Argentina, a Mendoza, costa fra i 15 e i 20 dollari. L’azienda è nata nel 1998, quando Rolland insieme a sette soci, provenienti da importanti dinastie del vino francese, ha acquistato 4 cantine locali (Bodega Diamandes, Bodega Monteviejo, Mariflor, Cuvelier Los Andes), per una produzione che può sfiorare il milione di bottiglie. “Dopo 7-8 anni in Argentina, ho pensato che a Mendoza ci fosse un enorme potenziale, in particolare nella Valle de Uco. Personalmente sono il primo a stappare Clos de Los Siete. Se facessimo una degustazione alla cieca, non finirebbe certo nella fascia sotto i 20 dollari, ma molto più in alto. Spero che i consumatori ne approfittino”.

È recente la notizia di una nuova società, chiamata Michel Rolland et Associés, fondata dall’enologo settantatreenne e partecipata al 60% da tre dei suoi collaboratori più stretti, il più giovane dei quali lo affianca da 15 anni. “Il futuro è per loro, non per me. Sto ancora lavorando, mi piace fare il consulente, ma ancora per quanto? Non ne ho idea. Il Covid è stato un vero disastro. Per oltre un trentennio ho trascorso metà dell’anno all’estero. Nel 2020 sono stato fermo per 9 mesi, facendo video conferenze di assaggio. Siamo rimasti in contatto con i nostri clienti. Ma resta un’enorme frustrazione. Come tutti, spero che questo terribile periodo finisca prima possibile”.

 

A FAVORE: ALESSANDRO TORCOLI

“Michel Rolland è innanzitutto una persona gioviale e autoironica. Come spiega lui lo spirito di Bordeaux, non lo spiega nessuno. Ovviamente è anche un enologo eccellente, preciso al limite del maniacale e questo conferma un’idea diffusa, cioè che il grande salto qualitativo del vino, la più grande rivoluzione dal dopoguerra, sono state l’igiene e la cura nel processo di vinificazione. Quanto allo stile, è stato decisamente fortunato, quando Robert Parker, il guru più influente nella storia del vino, comprese che l’approccio di Rolland gli procurava grande gioia e cominciò a dare il massimo dei punteggi a diversi suoi vini. A quel punto, l’agenda di Rolland esplose con consulenze ovunque nel mondo, alla ricerca dei miracolosi 100 punti, quelli che davvero ti svuotavano la cantina in un soffio. Il risultato di tale espansione fu in parte l’omologazione del gusto, ma fino a un certo punto, perché più che da Rolland questa è dipesa dai suoi committenti, troppo chini al mercato e in particolare troppo smaniosi di compiacere un solo palato, quello di Parker. Dove Michel Rolland ha avuto mano libera, e possibilità di sperimentare, ha dato il meglio. Credo che su richiesta dei committenti per lo più realizzi vini in linea coi gusti del mercato, ma essendo un grande professionista, cerca sempre di mantenere lo stile dell’azienda e un tratto espressivo del territorio, come nel caso di Ornellaia o di Monteverro in Toscana”. 

 

CONTRO: GAE SACCOCCIO

“Michel Rolland, che da Mondovino (2004) di Nossiter usciva ridicolizzato – non a tutti i torti – quale macchietta grottesca dell’enologo volante, oggi più che mai incarna la figura del consulente enotecnico economo di cantina e di vigna, cui si affidano molte aziende di vino medio-grandi con tanti mezzi a disposizione ma poche idee. Aziende alle quali ‘professionisti’ come Rolland servono – sotto lauti compensi – quasi fosse un bollino di qualità appiccicato in bottiglia che veicoli soprattutto la vendita, questo almeno è quel che spera chi ci si affida come a Nostra Signora di Lourdes. Figure come Rolland, a partire da Bordeaux e man mano espanse a macchia d’olio su tutto il mondo della vinificazione, aiutano a definire ingegneristicamente il gusto del vino, dalla gestione di campagna all’etichetta, oltre ad allocarlo nei mercati esteri, perciò di fatto Rolland diventa anche una specie di brand in sé che dovrebbe facilitare lo smercio per l’export, in quei mercati meno consapevoli, dove sono in pochi a distinguere il vino da una melassa stuccosa al gusto di prugne sciroppate”.

 

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Alessandra Meldolesi

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