Alta cucina

Icone italiane: quali sono i piatti cult della nostra cucina secondo 3 critici gastronomici italiani

di:
Alessandra Meldolesi
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Ci sono chef titanici che è impossibile ricondurre a un singolo piatto. Altri che hanno cristallizzato il loro talento in un gesto con cui siamo tuttora intimamente familiari. Ecco quali sono i piatti cult della nostra cucina secondo 3 critici gastronomici italiani.

La Notizia

“Icona: figura o personaggio emblematici di un’epoca, di un genere, di un ambiente: Marylin Monroe, l’icona della femminilità”, recita il dizionario Treccani al quinto e ultimo punto. Ed è un esercizio divertente (fatelo anche voi) chiedersi quali siano state le ricette “Monroe” della cucina italiana. Ci sono chef titanici che è impossibile ricondurre a un singolo piatto, come Gianfranco Vissani, istinto puro e impermanente. Altri che hanno cristallizzato il loro talento in un gesto con cui siamo tuttora intimamente familiari.
Il primo piatto che mi viene in mente è l’Uovo in raviolo di Nino Bergese e Valentino Marcattilii, emblema del San Domenico. Poi il Riso, oro e zafferano di Gualtiero Marchesi, forse il piatto più iconico di sempre, e gli Spaghetti alla lampada del suo antagonista Angelo Paracucchi. Parlando di pasta secca, impossibile non menzionare il Vesuvio di rigatoni di Alfonso Iaccarino, uno che ebbe l’ardire di sdoganare il quotidiano mediterraneo. E ancora, immancabile, la Passatina di ceci e gamberi (in realtà mazzancolle) di Fulvio Pierangelini, gli Spaghetti con il cipollotto di Aimo e Nadia, i Tortelli di zucca del Pescatore. In tempi più recenti il Cappuccino di seppia di Massimiliano Alajmo, il Tuorlo marinato targato Cracco-Baronetto, il Cyber eggs di Davide Scabin, l’Assoluto di cipolle di Niko Romito; nella piena attualità la Caesar salad di Massimo Bottura, giovane chef che continua incredibilmente a crescere, e la Cacio e pepe in vescica di Riccardo Camanini, clamoroso capolavoro che cortocircuita la cucina internazionale.

Impossibile sottrarre anche solo una referenza (varie ricorrono del resto fra gli interpellati) da una lista egemonizzata non a caso dai primi piatti. Racconta la progressiva emancipazione della nostra cucina da qualsivoglia sudditanza o complesso di inferiorità. Perché sono le icone, in fondo, a ricordarci ogni giorno chi siamo.

Alfonso Isinelli


Raviolo aperto


Gualtiero Marchesi


Una pasta, e ce ne saranno altre in questa lista, perché è il piatto iconico, nel bene e nel male della cucina italiana. Marchesi agli inizi non ne aveva nessuna in carta, poi arrivarono gli spaghetti con erba cipollina e caviale e subito dopo queste sfoglie, una gialla, una verde, con al centro l’iconica foglia di prezzemolo (come quella d’oro nel risotto)  che coprivano capesante nella loro salsa. Il concetto di pasta ripiena cambiato in un tocco, folgorante. Copiato e citatisssimo

 

Passatina di ceci e gamberi


Fulvio Pierangelini


A San Vincenzo Fulvio Pierangelini ha sempre professato la sua cucina personale, istintiva, senza riferimenti e senza allievi. La passatina di ceci e gamberi era un piatto semplice ma perfetto, calibrato in cremositá e sapori, quello che non poteva mancare ogni volta che si riusciva a sedere ai tavoli del Gambero Rosso. Imitato, fino allo sfinimento (anche di Pierangelini), quasi sempre in maniera imbarazzante.

 

Agnolotti al sugo d’arrosto


Lidia Alciati


I migliori mai mangiati? Probabilmente sì. Ma qui conta il gesto, motore della cucina. Quello di Lidia Alciati che da Guido a Costigliole d’Asti prima e nel Relais di Santo Stefano Belbo poi, ne ha chiuso un numero indefinito. E quella meravigliosa foto delle sue mani, oggi a Serralunga d’Alba nella Villa Reale è una delle immagini più belle sul mestiere di cuoco.

 

 Sandwich di agnello e melanzane

Massimiliano Alajmo

Foto di Lido Vannucchi



Preciso, riflessivo, contemporaneo come pochi altri, non è un caso che Massimiliano Alajmo sia il più giovane tristellato della storia. Questa lista avrebbe potuto comprendere solo piatti suoi, per quanti di importanti ne ha messi in campo. Io pongo in primo piano questo magnifico sandwich, per la scelta, siamo nel 2004, allora impensabile in uno stellato, di non usare posate per la fruizione, ma di mangiarlo con le mani. Lo sdoganamento di un piacere.

 

Le cinque stagionature del Parmigiano


Massimo Bottura


Il piatto simbolo, il primo, del più iconico dei cuochi italiani, quello che lo ha sdoganato al mondo. Un viaggio attraverso uno dei più, mi ripeto, iconici, prodotti emiliani: il Parmigiano. Anzi cinque viaggi: stagionature da 24 a 50 mesi, sotto forma di demi-soufflé, salsa, galletta, spuma, aria. Il disvelamento di una territorio attraverso un piatto. Un viaggio.

 

Ciabattoni “bora de mare”


Mauro Uliassi


Anche a casa Uliassi dovrebbero starci ben più icone, soprattutto a mio giudizio in quel connubio tra caccia e mare, esaltante nelle utlime stagioni. Ma anche se ormai è ben più che un ristorante di mare, è in questo piatto che si immerge negli odori della battigia tra alghe, ostriche e bottarga di coregono che si respira la cucina di Mauro, come in pochi altri.

 

Piccione fondente e pistacchio


Niko Romito


Nel suo percorso continuo a ridurre, togliere, sintetizzare in pochi ingredienti, questo ancora più che nei piatti vegetali, rappresenta il lavoro di Romito. Un piccione che sembra crudo ma non lo è, rosso ma senza una traccia di sangue, cotto in pentola a pressione nel brodo di piccione. Una densa crema di pistacchi in accompagnamento. Basta. Perfetto.

 

Vesuvio di rigatoni


Alfonso e Ernesto Iaccarino


La ristorazione tutta del Sud, oggi a livelli espressivi mai così alti, parte da qui, da questo grandissimo locale dove gli Iaccarino hanno fatto storia. Alfonso e Lidia, oggi il figlio Ernesto a raccogliere l’eredità ai fornelli. Il Vesuvio di rigatoni rappresenta la pienezza della cucina campana: ragù, rigorosamente di maiale, polpettine, piselli, pinoli e uvetta e poi il rigatone. Bellissimo e buonissimo.

 

Ricchezza e povertà


Matias Perdomo e Simon Press


Il gruppo di Contraste è uno dei più liberi e produttivi dello stivale: dalla casa madre sono nati tanti progetti anche in un momento economicamente e socialmente non facile come quello che stiamo attraversando. E la cucina di Perdomo e Press  fra istinto e classicità, tradizioni e occhio aperto al mondo, diverte, provoca, appaga, come in questa interpretazione della cassoeula, qui proposta in zuppa, dove vengono sciolte, delle finte monete di gelatina di spalla di maiale. Spiazzante situazionismo .

 

Zolla di Certosa


Paolo Lopriore


Se oggi si dovessero tirare le somme e dichiarare i due cuochi italiani più importanti dei primi venti anni del XXI Secolo, i miei nomi sarebbero Paolo Lopriore e Riccardo Camanini, allievi marchesiani.

Paolo oggi nel buon retiro di Appiano, dove si è messo apparentemente a disposizione cliente, ha espresso negli anni della Certosa di Maggiano una dirompente e incondizionata cucina d’avanguardia, ricca di spunti, idee, tracce per le generazioni a venire. C’era chi diceva non rappresentasse  territorio e tradizione, la Zolla di Certosa pane imbevuto di estratto di cavolo nero, dimostra proprio il contrario, icona amara di Toscana.

 

Torta di rose, zabaione, limoni del Garda


Riccardo Camanini

Foto Lido Vannucchi



Camanini si diceva, confinato a Gardone Riviera per anni nel silenzio quasi assoluto, prima della nascita e del successo del suo Lido 84. Una cucina di squadra, di ricerca ma sempre leggibile, dove il classico si aggancia continuamente al contemporaneo, come nel lavoro sulle paste secche. È una parte finale, la pasticceria, invece classica senza compromessi, fatta di dolcezze, come questa torta di rose, porzionata al tavolo, con lo zabaione a parte cui attingere, che non esce mai dalla carta. Giustamente.

Chiudiamo qui o quasi, si sarebbero potuti aggiungere alcuni piatti delle giovani generazioni ma loro saranno i prossimi iconici, mi piace chiudere con due spaghetti storici, buonissimi, italiani: quelli al cipollotto di Aimo e Nadia Moroni, esecutori odierni Alessandro Negrini e Fabio Pisani e la Devozione, la migliore versione di spaghetti al pomodoro possibile di Peppe Guida.

 

Luciano Pignataro


Ricette iconiche della cucina d’autore? Non cito quelle più buone, e neanche quelle più adorate dal ristretto cerchio mediatico della gastronomia italiana, ma i piatti che sono stati più copiati, imitati e ripresi non solo dall’alta ristorazione, ma da tantissimi perché entrati nel memoria della cucina nazionale.


Dobbiamo citare dunque subito il risotto oro e zafferano di Marchesi e la passatina di ceci e gamberi di Pierangelini. Il primo perché iconico di una Italia che scopre il piacere di stare al ristorante senza colpa e che inizia ad apprezzare il senso estetico della presentazione. La seconda è una strepitosa sintesi della cultura dell’orto-mare di gran parte della tradizione delle nostre coste che ha subìto innumerevoli varianti.


Un altro piatto iconico che ha cambiato il punto di vista di moltissimi cuochi è stato il Vesuvio di rigatoni di Alfonso Iaccarino non solo perché metteva sull’attenti la pasta cambiando il modo di percepirla, ma anche perché l’ha introdotta, insieme al pomodoro e all’olio d’oliva, nel mondo dell’alta cucina in un momento in cui dominavano ancora i fondi bruni.

Restando al Sud, è stato importante il piatto creato da Gennaro Esposito: la parmigiana di pesce bandiera (pesce spatola), imitatissimo, perché apre alla riscoperta del pesce cosiddetto povero un tempo prerogativa di trattorie e ristoranti da spiaggia.


La cinque stagionature del parmigiano di Massimo Bottura in consistenza e temperatura diverse sono forse il piatto dell’alta cucina che ha ricevuto più declinazioni possibili, persino sulle pizze bianche di alcuni pizzaioli napoletani, così come le mitiche tagliatelle di seppia di Mauro Uliassi.


E per restare alle seppie, altro piatto iconico è sicuramente il cappuccino di seppie di Massimiliano Alajmo ha fatto scuola ovunque in Italia.

Impossibile poi non ricordare l’uovo alla Carlo Cracco, un piccolo grande colpo di genio.

Cipolla fondente di Salvatore Tassa



L’umile cipolla poi ha due grandi cuochi che l’hanno interpretata in modo incredibile: la versione caramellata di Davide Oldani e quella fondente di Salvatore Tassa.


Arriviamo a Roma per ricordare il fagottello di carbonara pensato nel 1998 da Heinz Beck che ha davvero fatto scuola per tecnica e imitazione.

Mi va di citare anche la carbonara di mare pensata per la prima volta da Giulio Terrinoni quando lavorava all’Acquolina, la prima ardita variante a un piatto intoccabile per i romani e non solo.


Ritorniamo in Campania con la pasta e patate di Nino Di Costanzo, il cuoco che forse più di tutti sta imponendo una estetica dei piatti di cui il primo è stato proprio questo.

Terminiamo con Luca Abruzzino a Catanzaro, i suoi fusilloni con pecorino, ‘nduja e ricci di mare hanno sdoganato il salume calabrese nella cucina d’autore aprendo le porte ad un sacco di idee e suggestioni non solo legate alla pasta.

 

Licia Granello


13 piatti - uno per cuoco/a - gustati nel corso degli anni e che mi sono rimasti impressi sul palato come un regalo alle papille. Non c'è retropensiero, nulla di iperprofessionale, solo il ricordo di quel misto di piacere, sorpresa, originalità e talento che hanno reso quel piatto diverso da tutti gli altri e lo hanno infilato di diritto nel mio personalissimo  empireo del gusto.

Sono in ordine sparso tranne il primo, che primo deve restare perché protagonista è la pasta di Giovanni Assante.

 

La pasta Gerardo Di Nola e patate di Nino Di Costanzo



Il risotto in foglia d'oro di Gualtiero Marchesi



Lo scampo zen di Mauro Uliassi


 

I tagliolini di tuorlo d'uovo marinato di Carlo Cracco


 

I paccheri in piedi con burrata e gamberi crudi di Gennaro Esposito


 

La spigola col succo di carota di Ciccio Sultano


 

Il Magnum di foie di Massimo Bottura



 

Il cappuccino di seppia di Massimiliano Alajmo



 

La nuvola di patate e caviale di Chicco Cerea




I tortelli di zucca di Nadia Santini



 

Il cinghiale al finocchietto di Valeria Piccini


 

L'uovo di seppia di Pino Cuttaia



 

Il sushi mediterraneo di Moreno Cedroni



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