I protagonisti dell'enogastronomia

Chi è Jon Brownstein, l’americano che vende Pecorino Sardo porta a porta agli chef negli Stati Uniti

di:
Alessandra Meldolesi
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Da Tiscali al pecorino, dalla fibra alla transumanza: Jon Brownstein ha ideato un nuovo modello di business per i prodotti sardi, venduti door to door agli chef d’oltreoceano.

La Notizia

Crazy for casu: non bastava George Clooney, testimonial folgorato dal pecorino sardo di Peppino Fadda, immancabile fine pasto a Laglio, tanto da farsene spedire 100 forme a Los Angeles e lanciarsi, forse, nel grasso business dell’import. C’è un altro americano che sta tagliando la sua fetta dentro la forma gialla: è Jon Brownstein, bostoniano trapiantato a Cagliari, che dopo aver sorvolato l’oceano è passato da Tiscali alla gastronomia, dalla fibra alla transumanza.


Laureato in Lettere, specializzato in studi rinascimentali, Jon ha conosciuto l’Italia innanzitutto sui libri, studiando la lingua e la storia dell’arte. Ma la gastronomia era già una passione, grazie alla liturgia familiare della cena in stile Julia Child e ai lavoretti da cuoco e cameriere per pagarsi gli studi. “Tanto che la prima volta che sono andato in Francia mi sono sentito a casa: conoscevo già tutto”. Poi ci sono stati la borsa di studio a Sesto Fiorentino e l’ingresso quale lettore all’Università di Cagliari nel 1990, quando l’isola era la Silicon Valley italiana. “È stato allora che ho conosciuto Niki Grauso, imprenditore carismatico che mi ha coinvolto nel suo progetto di Video On Line, provider basato in Sardegna che veicolava il primo giornale del genere sviluppato in Europa e il secondo al mondo”. Nient’altro che la costola di Tiscali, dove Jon è presto diventato direttore commerciale. “In quegli anni abbiamo toccato con mano novità incandescenti. Ricordo la trasmissione in streaming dei concerti per la fondazione Mandela con Peter Gabriel e gli U2, un rock business all’avanguardia mondiale. L’esperienza che a Cagliari tutto è possibile: creare da zero un’azienda del valore di sette miliardi. Non succede solo a Londra e Milano”.


“Ma io mi sentivo stanco di un mondo, dove tutto è veloce e intangibile. Avevo voglia di qualcosa di semplice, lontano da app e cellulari. È successo che mio figlio Gabriele è tornato per lavoro in America e ho capito che dramma sia la ‘fuga dei cervelli’. Mi è venuta voglia di creare un trait-d’union fra mio figlio e l’isola, in modo che potesse tornare. Così ho iniziato a parlare con i miei amici artigiani ed è nata l’idea di vendere prodotti sardi negli Stati Uniti, senza ricorrere all’e-commerce. Ho iniziato dal classico tagliere con coltello, formaggio e bottarga. Qui tutti hanno un nonno pastore: è la base della cultura sarda. Ma a dispetto dell’eccellenza il settore caseario ha sempre faticato in modo incomprensibile. Ho iniziato nel 2016 con una semplicità tutta nuova ad andare porta a porta dagli chef più famosi, cominciando da Alice Waters di Chez Panisse, dove mi hanno accolto senza appuntamento, hanno assaggiato e subito comprato. Ho capito che dovevo continuare e pian piano ho battuto tutte le città. Un mese a Cagliari, un altro negli Stati Uniti, sempre coinvolgendo mio figlio”.


Oggi i ristoranti serviti sono una cinquantina: in catalogo pecorini di diverse stagionature, caprini, formaggi misti, bottarga di muggine, fregola fatta a mano e qualche vino smerciati da due magazzini, a San Francisco e Seattle. Facciamo noi le consegne e il feed-back è immediato, se il prodotto è eccellente oppure salato. Il formaggio parte il lunedì e due giorni dopo è già nelle celle dei ristoranti, senza altri intermediari che carichino il prezzo. Un modello trasparente, sano, sostenibile, onesto. Day by day, senza business plan”. Ma Trigu Italia è altro ancora. “Sono molto amico di Michele Cuscusa, fautore del bio in Sardegna. Appena arrivo da lui chiedo se ha fatto lo yogurt e con un bicchiere mi sento rinato. È stato nella sua tenuta che ho concepito l’idea di portare gli chef a conoscere direttamente il prodotto. Sentivo che erano molto easy ed ero stanco di viaggiare. Ho offerto loro l’opportunità di tour intensivi nel mondo artigianale sardo: quando arrivano, si innamorano di tutto. Una coppia mi ha persino chiesto aiuto per trasferirsi. Così si è configurato un modello a due step: andare e venire. Perché la cosa che funziona meglio, è sempre la più semplice”.


Se potessi lasciare un’eredità, mi piacerebbe che fosse fatta di lavoro per i giovani e di orgoglio dell’identità sarda. Perché nessuno deve vergognarsi di parlare in dialetto. Poi mi resta la passione per il golf, da vecchio giocatore di hockey su ghiaccio quale sono. Prima o poi vorrei intersecarla con la gastronomia”. Il prossimo hole in one è nel mirino.

Tutte le fotografie sono di Gabriele Boi in esclusiva per Reporter Gourmet

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