Mondo Vino

Vini alchemici da agricoltura biotica: la produzione rivoluzionaria di Giorgio Mercandelli

di:
Alessandra Meldolesi
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mercandelli

La Storia

Rovescia il bicchiere in un colpo solo”. Giorgio Mercandelli è in piedi accanto al pozzo profondo un centinaio di metri che si apre in una saletta della casa seicentesca di Canneto Pavese, fra vecchie vigne dove viti sans papier si annodano selvagge. Giro il polso più lesta che posso e aspetto secondi interminabili. I metri sono settanta fino al pelo dell’acqua e a quel punto sul fondo sbrilluccica una luna che non smette di danzare. “È la ragione per cui abbiamo scelto questo posto: per il pozzo. Quel riflesso è stato una rivelazione, che la mia compagna Sonia ha avvertito prima di me. La rivelazione che più guardiamo in profondità, più ci relazioniamo con una luce che ci ricorda chi siamo non in cielo, che è qualcosa di più grande di noi, ma come parte di una forza creativa interiore. Riluce verso il mondo ciò che noi siamo realmente. C’è chi le chiama frequenze: qualcosa di invisibile, che neppure gli scienziati del CERN sono in grado di afferrare”.


L’azienda, fondata nel 2013, dopo la separazione da Sacrafamilia, restata alla sorella Anna, si intitola appunto RiLuce e ha sede in quella che è anche l’abitazione di Mercandelli: una casa colonica il cui sviluppo sotterraneo è stato adibito a cantina, con le cisterne in resina a base silicio Atlac e le cataste di vini che percorrono i muri. Qui si svolgono tutte le fasi produttive: l’uva arriva da appezzamenti al limite dell’inselvatichimento quando ha raggiunto il massimo punto di maturità (in zona nessuno la raccoglie dopo), viene pigiata con i piedi completa di raspi e il mosto introdotto nelle cisterne dove fermenta e matura in riduzione, sotto un tappo. Seguono sette anni di bottiglia funzionali alla “cristallizzazione”. A questo punto il vino, nelle parole di Mercandelli, avrà ricostruito la storia dell’uva nella sua interazione singolare con la personalità del vignaiolo, quale suo strumento di conoscenza di sé stesso e del mondo. Fondamentale risulterà la purezza della materia, quel cammino congiunto dell’acino e dei suoi lieviti, capaci di annichilirsi reciprocamente perché familiari, favorito dall’assenza di qualsiasi tipo di trattamento, neppure zolfo e rame; le stesse resine sono pulite solo con acqua e vapore. Il risultato alla cieca secondo i degustatori ricorda vecchie bottiglie di Quintarelli e Lino Maga. Andrea Grignaffini definisce Mercandelli “un produttore che ha creato un varco e una conseguente proiezione, tale da poter definire una linea di demarcazione tra il prima e il dopo”.


Non potiamo, non diradiamo, per noi innaffiare sarebbe come usare il glifosato. Cerchiamo di recuperare una situazione in cui la pianta e l’uomo si sostengono a vicenda, al fine di ottenere uve che riflettano il loro rapporto. Poi attraverso la fermentazione alchemica distruggiamo il frutto e ne estraiamo la capacità di trattenere memorie. In tutto abbiamo 6 ettari di vigne che si trovavano in una condizione di abbandono, con gli alberi fra i filari a causa della pendenza superiore al 50% e della conseguente difficoltà di coltivazione. Un tempo Canneto era il paese più densamente vitato del mondo, oggi sembra una foresta vergine. È anche questione di areali: il mercato del vino come commodity fa un discorso di qualità e di prezzo in base alle zone di produzione. Un concetto folle, che combattiamo. Questo è l’unico settore che continua a regolarsi su parole che evocano la guerra come vitigno, territorio e tecnica, l’equivalente di razza, patria e cultura. Mentre per noi il vino diventa un prodotto universale se mette al centro l’uomo come creatore, in condivisione con gli altri. Ecco perché il prodotto sfugge a qualsiasi etichetta semantica, non recupera argomenti su frutto, territorio e mode del gusto perché crede nei valori universali per cui siamo tutti uguali.  In natura non esistono ingiustizie, non c’è territorio o varietà migliore: la differenza è nella nostra storia. Potenzialmente ogni uomo è un artista, ogni uomo è un’esistenza conchiusa e perfetta, che possiede tutti i contenuti logici del mondo. Il fine della vita è comprendere chi siamo e la natura serve a ricordarcelo”.


Così inteso il vino è un prodotto sinestetico, che oltrepassa la degustazione sensoriale basata sui paradigmi vigenti, senza considerazione per i metodi produttivi, perché l’industria oggi può far perdere le tracce. Il fenomeno sinestetico ha un profilo più profondo: non mira a informare o rendere edotte le persone, ma a stimolare le loro capacità più profonde, in modo da entrare in una connessione sentimentale dove i sensi si raccordano in un’unica realtà e generano nuove immagini del gusto, perfino oniriche se c’è qualità. Il mondo universale non presenta dualità: non c’è amore e odio, grande e piccolo, buono e cattivo ma un’armonia da riflettere e far risuonare. Il futuro del vino è legato a chi non lo beve e non l’ha mai bevuto, non vuole studiare né tantomeno giudicare. Può infilare la porta principale della cultura come sostanza che permette alle persone di conoscersi”.


Fin qui i vini alchemici: una scuola cui nel tempo hanno aderito anche la compagna Sonia Doria, che sembra uscita da un quadro di Tiziano, o forse dalla sua ripresa preraffaellita nelle sembianze di Elisabeth Siddal, soprattutto quando tiene il salterio in mano; Oreste Sorgente, che nella cantina fa i suoi vini, e Marco Merighi, evangelist del gruppo. Ma dal mese di settembre in questi spazi sarà possibile degustare anche una natura solida: quella della cucina pensata da Giorgio, Sonia e Marcus, factotum dell’azienda, in coerenza con le narrazioni della cantina. La formula è quella dell’enoturismo, con prodotti propri come i vegetali da agricoltura biotica ottenuti dal fratello di Sonia, Igor, quelli spontanei raccolti nel bosco e l’unico complemento animale delle uova di gallina, a garanzia dell’autenticità dell’esperienza. Vedi il “pomonudo” dell’orto, il pane alchemico di Sonia da grano proprio, chiamato “baga”, le “terre universali” di Marcus, salse di ortaggi sotterranei e non fermentati fino a diventare prodotti universali, che possono accompagnare qualsiasi sostanza. Saranno disponibili anche in una formula a 22 euro con abbinamento di vini alchemici. “La ristorazione può entrare nel profilo sinestetico, sviluppare la memoria e corroborare lo spirito. Il concetto è quello di un abbinamento non tecnico, ma di coerenza. Perché anche al ristorante ci sono prodotti che hanno una storia e memorie da rivivere. Ma l’Agrispazio non vuole sostituirsi a ristoranti e agriturismi: è un altro modo per esprimere ciò che produciamo dall’origine con questo rapporto naturale. Non vuole offrire piatti elaborati con la tecnica, ma esperienze legate al prodotto e al suo percorso”.


Alla prova dell’assaggio, i degustatori concordano sul grande valore di RiLuce, specie alla cieca. Eppure una certa diffidenza continua ad allignare, verso lo “storytelling” giudicato pretestuoso e la politica dei prezzi, nonostante le bottiglie entry level, denominate Lanthano, non siano affatto esclusive. “Tutti noi cosa facciamo? O costruiamo un personaggio o diamo libero sfogo a ciò che intuitivamente sgorga dal cuore. E io cerco di seguire ciò che mi è più facile. In questa forma di originalità risiede la mia verità, valida solo per me stesso. In Giappone i miei vini venivano venduti al doppio del prezzo attuale, ma siamo sempre stati consapevoli delle difficoltà che avremmo incontrato muovendoci fuori dai concetti convenzionali in Italia. E i nostri valori restano incomparabilmente inferiori ai blasoni. Se il vino è commodity, il brand importante diventa funzionale all’effetto sorpresa per l’élite. Noi non cerchiamo questo tipo di speculazione, ma diamo valore al vino, per dare un significato a chi per suo tramite si sta esprimendo artisticamente. Il rapporto artistico non si basa sulla qualità, ma sulla personalità che segue l’intero processo. Altrimenti potremmo confondere un quadro di Van Gogh, dove c’è la vita di una persona, con Topolino, che pure fa sorridere ogni settimana decine di migliaia di persone. Ed è quello che manca anche al ristorante, dove spesso l’autore è assente”.

Indirizzo

Via Casabassa, 49

27044 - Canneto Pavese PV - Italy

Tel.: (+39) 333 34 18 574

Mail info@giorgiomercandelli.it

Il sito web 

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