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Meet In Cucina Abruzzo 2018

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina meet in cucina niko romito 970

Durante il Meet in cucina, congresso organizzato dal giornalista Massimo Di Cintio,  a ogni cuoco è stato affidato un prodotto agroalimentare.

L'Evento


Meet In Cucina Abruzzo 2018



Non c’è tre senza quattro: l’Abruzzo ha salito anche quest’anno i gradini di Meet in cucina, congresso organizzato dal giornalista Massimo Di Cintio, in via di partenogenesi lungo la direttrice adriatica, nelle Marche, in Puglia e anche in Emilia-Romagna.

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Il 29 gennaio presso la Camera di Commercio di Chieti a ogni cuoco è stato affidato un prodotto agroalimentare da variare negli usi, affinché ne ricavasse ricette ad hoc, poiché ciò che conta è guardare il quotidiano con occhi nuovi, diceva Vico Magistretti. In uno scenario di impasse dell’istituzione congresso, a causa del ralenti nell’innovazione tecnica e concettuale, l’escamotage è ripartire dal genius loci e dal lavoro sul territorio, mettendo in circolo nuove idee a tutti i livelli per vasi grandi e piccoli di un organismo vitale.

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Niko Romito, attualmente uno de i cuochi più in forma del mondo, ha sviscerato un’ossessione chiamata “pane”. Fresco dell’apertura dello Spazio romano, che prosegue sul campo la formazione della scuola sotto il segno di una diversa semplicità, è appassionato di arte bianca fin da quando scorrazzava per la pasticceria paterna. Al Reale è partito dai grani antichi, solina e saragolla, allora dimenticati, e ne ha ricavato un pane che ha esaltato sempre più, fino a farne una portata del menu degustazione. La consacrazione per un alimento circonfuso di un’aura di sacralità, protagonista di un’area di Spazio Roma, vedi la fetta al ragù, il piatto più venduto. Viene interamente prodotto al Reale e abbattuto, anche per migliorare umidità e crosta. È la lunga fermentazione (36 ore) a sopperire allo scarso glutine di farine comunque profumatissime, idratate per l’80%. “Da quando sto sviluppando questi progetti, il Reale diventa sempre più forte. Perché studio e rifletto. Essere imprenditore non significa smettere di fare il cuoco. Anzi”.

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4 Crisanti - Sfizierie di mare (brodetto rivisitato)
Il ventottenne Matteo Crisanti di zì Albina a Vasto è stato presentato da un giovane collega, Daniele D’Alberto: dopo diverse esperienze all’estero ha convertito il tempio del brodetto in una “trattoria moderna” dalla proposta variegata, incentrata sul pesce locale e sui vegetali dell’orto della casa. Quindi la seppia ripiena, rielaborata in polpa appena scottata, ragù, crostino al nero e polpettine impanate, più una salsa di lattuga di mare. Poi il brodetto di pesce, tradizionale oppure sfilettato con salsa di brodetto, a base di pomodoro mezzo tempo, peperone disidratato e pesce povero cotti nel coccio.

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6 Spadone - Carciofo
La Bandiera del territorio è passata nelle mani di Marcello e Mattia Spadone, autori di tre ricette, l’asse ben piantato nell’orto coltivato da mamma Bruna. Quindi l’insalata invernale con raviolini vegetali di carota multicolore farcita di caprino, maionesi degli scarti, gelatina di funghi ed erbe spontanee. Poi il carciofo di Cupello passato sottovuoto e alla brace, glassato con il suo estratto ridotto e servito con anguilla e kumquat. Infine, l’arrosti-gin, rivisitazione dell’arrosticino con glassa di ginepro fermentato, pan y tomate e insalatina al gin.

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8 Genovese - Piccione e cachi
Anthony Genovese ha rappresentato un’eccezione congressuale, senza addentellati in Abruzzo, ma forte di una cucina equipaggiata per il viaggio. Ha esordito con un piccione cachi e indivia, dove il volatile alla cinese, completo di ala e unghia, è scottato in un infuso di 5 spezie, lasciato appeso per due giorni, laccato di camomilla per un diverso tono zuccherino, bagnato di olio bollente per l’effetto pechinese e finito in forno. Il caco è essiccato intero alla maniera giapponese, per esaltare la dolcezza mitigando l’astringenza; più una glassa di mandarino e soia, perché al Pagliaccio in pratica non si sala più, paté di fegatini, cioccolato amaro e indivia a chiudere. Poi, con dedica all’Abruzzo, la battuta di pecora, fusione di orizzonti fra Francia, Asia e gusto italiano. Dove la carne leggermente frollata e condita alle spezie è servita con mela alla rosa canina, gelatina naturale di consommé di pecora, mirtilli essiccati e bernese.

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9 Fossaceca - Polpo alla brace con arance e limoni dei trabocchi fermentati
Nicola Fossaceca dal canto suo ha preparato un polpo arrosto con glassa di caramello all’arancia e insalata di alghe, rappresentativo di uno stile dalla contaminazione ragionata, sotto il segno della semplicità. Poi il raviolo ripieno di pane, burro e alici alla bottarga, alga nori e colatura, a recuperare l’umami del pesce in conserva.

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12 Di Pasquale - Il succo di una rapa rossa
Enzo Di Pasquale, discepolo di Lucio Pompili, chef del Bistro Novecento di Giulianova, ha invece presentato il tartufo dei poveri, il pollo immaginario e gli spaghetti con succo di rapa rossa. Piatti sviluppati secondo una scala di gusti misurati in valori numerici, per un crescendo di complessità nel menu. Quindi l’anguilla marinata e fiammeggiata con topinambur del proprio orto marinato, in polvere e in chips, latticello alla nocciola, per un equilibrio di gusti e testure. Poi il pollo arrosto immaginario, destrutturato in pelle di pollo agli aromi tipo chips con spuma di patate del Fucino, chips della buccia e fondo denso. In chiusura la pasta: gli spaghetti risottati al succo di rapa rossa con salsa al curry e cocco.

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14 Pezzuto - Pecora su pepita di liquiriziadi Atri, mele cotogne e rape rosse
Davide Pezzuto, già chef di Les Paillottes per Heinz Beck, oggi al ristorante diffuso D.One di Montepagano, ha esordito con un piatto vegan: il filare di insalata verticalizzato in sottosuolo di radici, terriccio di frisa integrale, polvere di funghi e frutta secca all’aceto, cuori di lattuga e fermentato di carota viola da innaffiare in superficie. Quindi la pecora d’altura di 4 anni, ben frollata, tagliata al momento dell’ordine e cotta al barbecue, abbinata a un altro prodotto tipico: la liquirizia, usata come piatto per la carne calda su pietre da brace; per guarnizione il cavolo in osmosi allo zafferano e la mela cotogna. In conclusione, una nostalgia degli anni ’80, il cocktail di mazzancolle con la foglia di lattuga fermentata e la scorza di arancia affumicata, e i granetti, antica pasta in versione marinara, risottata nell’estrazione di canocchie con crema di erbe amare e burrata.

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16 Marcattilii - Ravioli dolci teramani con maggiorana e cannella, salsa di pomodoro
E sono abruzzesi, per la precisione di Mosciano Sant’Angelo, Natale e Valentino Marcattilii. Quest’ultimo ha narrato sul palco l’epopea del San Domenico, unicum della ristorazione italiana con i suoi 40 anni di doppia stella Michelin. La sua formazione, come quella del nipote Massimiliano Mascia, che ne sta raccogliendo il testimone, si è svolta nei templi della cucina classica; eppure via via i sapori di casa sono rientrati in campo, come testimoniato da due ricette del ristorante variamente ispirate ai sapori d’Abruzzo: la costoletta di castrato farcita con salsa al pecorino e i ravioletti dolci alla teramana con maggiorana, cannella e fonduta di pomodoro, ricalcati su un cavallo di battaglia di mamma Marcattilii. Ma non poteva mancare l’uovo in raviolo, icona del ristorante ancora eseguita come ai tempi di Nino Bergese: un piatto modernissimo, nell’inversione di interno ed esterno, nella farcia liquida che anticipa tecniche moderne e nell’attenzione per le temperature al cuore, servito da sempre su Richard Ginori, in anticipo.

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