30 mesi di Se.Sto on Arno: Matteo Lorenzini li celebra con piatti sontuosi, segnati da salse emulsionate ai crismi della classicità, come raramente accade in Italia.
Il Ristorante
Il ritorno del saucier: Matteo Lorenzini mai cosí lucido, denso e brillante
Tre Lune crescenti, e una stella di giorno sull’Arno. Sono passati ormai trenta mesi da quando Matteo Lorenzini, chef del ristorante di Calenzano, meteora della cucina italiana, si è installato al Westin di Firenze, grazie alla lungimiranza del direttore Valentino Bertolini, smaliziato gourmet. E da allora la sua cucina di giovane anticonformista, passionalmente ribelle alla dittatura del presente e al provincialismo del tempo, si è adagiata sempre più morbidamente nelle poltroncine viola con vista mozzafiato sulla città.
Rispetto al passato, la differenza la fa la brigata, che può contare su uno zoccolo duro di fedelissimi. Sei o sette ragazzi che pian piano hanno familiarizzato con le basi della cucina classica, generalmente neglette, a un tasso di complessità crescente, da un jus ben fatto alla magnificenza di una royale. E poi le materie prime, selezionate sans souci di portafoglio. Cosicché Lorenzini non è mai apparso tanto lucido, denso e brillante. Simile ai pentolini di rame sobbollenti sul lato del fornello: un concentrato di sapienza pronta a irrorare la secchezza del presente.
I mesi freddi sono l’età dell’oro per qualsiasi cuoco classico, grazie a materie quali selvaggina, tartufo nero, ostriche al top; e anche al Se.Sto il Mediterraneo arretra di fronte all’avanzata continentale, l’olio si prosciuga in favore del burro. “La spina dorsale sono proprio le salse, sempre più. Quelle che ho imparato a preparare da saucier con Philippe Mille. Non è il momento della creatività, quanto dell’interpretazione. Maximin diceva che siamo quel che abbiamo cucinato, la personalizzazione arriva dopo”.
I menu degustazione sono due: il breve da 4 portate a 92 euro e il Carta bianca da 6 a 130, con fuori carta del mercato e del giorno. La Gelatina di pesce, frutti di mare, caviale e lattuga, per cominciare, è nata dalla collaborazione con il professor Valenti dell’Università di Siena, nell’intento di rielaborare modelli medioevali, dall’Anonimo Toscano a Mastro Martino. “E ho ravvisato similitudini impreviste con alcune preparazioni del Louis XV, dove la gelatina naturale di pesce di scoglio, già presente nel XIII secolo, spesso profumata allo zafferano, viene tuttora servita con i gamberi di Genova. Perché nessuno inventa mai niente. Da qui l’idea del piatto, con la lattuga sbollentata in crema al naturale per la freschezza; la gelatina di pesci misti al consommé di pollo quale esaltatore, chiarificata al corallo di astice e alla polpa di gallinella per una spinta ulteriore; il granchio reale o la granseola alla brace; le capesante al naturale, appena passate al vapore per la consistenza e una parisienne di caviale”.
I Piatti
L’udon riprende una ricetta iconica di Robuchon, riunendo tutti i feticci della grande cucina d’oltralpe. “Ma non potevo preparare un savarin di linguine, perché non sarebbero state al dente. Quindi per rispettare l’Italia ho dovuto spaziare altrove. Gli udon con la loro consistenza gommosa si prestano bene: lo stampo è rivestito di farcia fine di capasanta, per il gusto neutro e il potere collante; dentro la pasta ci sono l’astice blu cotto al momento, una brunoise di foie gras confit, per evitare che si sciolga, fumetto di astice rettificato al leche de tigre piccante. La salsa è un’albufera di brodo di pollo e crema di latte con jus de volaille, aceto di Barolo, di Sherry e foie gras confit”.
È quasi introvabile al ristorante il pâté en croûte, nella fattispecie di selvaggina, debitamente frollata e marinata con ginepro, Porto e Cognac. “Il motivo sta nella difficoltà di prepararlo piccolo, cuocendo in pari tempo interno ed esterno. Il ripieno, legato da classica farcia à gratin di maiale, si compone di capriolo, cinghiale, lepre e piccione con i loro fegatini, porcini secchi o tartufo, sangue di lepre o capriolo, jus di selvaggina ridotto; è racchiuso nella pâte à pâté classica con grasso di foie gras o anatra e farina mista a maizena. Nel forno poggio pietre refrattarie sul fondo per uniformare la cottura. In accompagnamento servo un’insalata di frutta e verdura di stagione al Balsamico, più una salsa grand veneur al mirtillo, sifonata senza additivi perché basta il sangue. Perdonate la licenza”.
Vira verso la creatività la scaloppa di foie gras servita su una sorta di royale (simile piuttosto a chawanmushi giapponese, a base di uova intere ma passate al setaccio per eliminare la pellicola del tuorlo e fumetto di crostacei), con purea di cachi setacciata all’aceto di Barolo e di lamponi, i petali del frutto, fettine di scorfano crudo alla salicornia e pelle del pollo arrostita. Dove la base intreccia motivi iodati e grassezza, quale trait-d’union del piatto; il pesce spinge la sapidità e media il contrasto; l’equilibrio finale risulta dalla tannicità del frutto.
Gli gnocchi come una royale ribaltano le tradizionali proporzioni della guarnizione di patate o pasta alla selvaggina, lepre compresa. Preparati con patate di montagna e poca farina, sono glassati con consommé di selvaggina montato al burro e tartufo nero, più un brano di sella di lepre arrostita al burro e di foie gras a ricostruire l’icona d’oltralpe. Ma la protagonista è la salsa, una poivrade a base di fondo di selvaggina finita con sangue e fegato di lepre, foie gras setacciato e crème fraîche. Da manuale.
Spezza il crescendo delle sensazioni l’acidità dell’ombrina grigliata con crema di topinambur ai limoni confit e salsa barigoule, preparata usando le lische al posto della pancetta, pomodoro e vino bianco, foglie di carciofo per l’amaro e carciofi spadellati.
Cosicché si può di nuovo gustare l’opulenza della sella di capriolo arrostita al burro con salsa grand veneur al ribes, radice di prezzemolo rettificata al pinot nero per dolcezza e acidità, mela cotogna, scorzonera e patata.
Per dessert arriva la tatin non caramellata di mele cotogne, preparata in millefoglie con burro e zucchero, il cremoso alle caldarroste, un biscotto di farina di castagne e cacao, la tuile di mela cotogna.
Indirizzo
Ristorante SE·STO on Arno presso The Westin ExcelsiorPiazza Ognissanti n 3 – 50123 Firenze
Tel: +3905527152783
Mail info@sestoonarno.com
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