I classici della tradizione

La seada, pasta formaggio e miele per una pietanza dal sapore divino

di:
Alessandra Guigoni
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Chi dice seada dice cucina sarda, tutti la conoscono, tutti la vogliono a fine pasto al ristorante, ma siete sicuri di sapere tutti i suoi segreti? 

La Notizia

La seada, pasta formaggio e miele per una pietanza dal sapore divino


La sebàda o seada è un po’ l’essenza dell’anima culinaria sarda, formata due sottili dischi di pasta di semola e strutto, con i bordi dentellati, che racchiudono dell’ottimo formaggio, fritti in olio evo, e cosparsi di miele.

Un tempo la sebàda si friggeva nello strutto, per cui alcuni linguisti ipotizzano che il nome derivi dal latino sebum: untuosa, appunto, di quella untuosità fritta che risulta piacevolissima al gusto appunto.

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fotografia di Maria Pia Cossu



Oggi sono diffuse in tutta l’Isola ma tradizionalmente erano pertinenza delle cucine delle aree pastorali: Barbagia, Ogliastra, Logudoro, Gallura e Goceano.

Sappiamo che l’apicoltura e l’allevamento sono millenari in Sardegna, così come la coltivazione di cereali. Ce lo raccontano le evidenze archeologiche, le fonti storiche antiche e medievali e il folklore locale. Ipotizziamo che la seada sia una pietanza davvero tradizionale, che rammenta delle vivande antiche come la placenta latina a sua volta derivata dalla placous greca, caratterizzate dalla compresenza di sottili strati di pasta, miele e formaggio.

Troviamo le seadas già citate nel vocabolario sardo-italiano del canonico Giovanni Spano, a metà Ottocento, e poi dal Premio Nobel per la Letteratura Grazia Deledda, che nelle Tradizioni popolari di Nuoro che scrive di “sas sebadas”, “piccole schiacciate di pasta e formaggio fresco passato al fuoco. Vengono fritte” e le indica come un dolce tipico del Carnevale.

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fotografia di Elisa Di Rienzo



Diverse fonti orali hanno confermato che in passato le sebàdas si potevano anche cuocere al forno e arrostire, non solo friggere insomma; alcuni sostengono che anticamente non fossero un dolce ma un piatto unico, e che fossero salate. Non è difficile da credere perché la seada si presta bene anche ad essere un ottimo antipasto, fritta e senza l’aggiunta di miele, provare per credere.
La sebàda costituisce inoltre uno dei 189 PAT (prodotti agroalimentari tradizionali) della Regione Autonoma della Sardegna.

Il segreto sta nel formaggio che, secondo i paesi produttori, è differente. Molti indicano nel formaggio ovino fresco, leggermente acidulo, il ripieno ideale della seada. Altri usano il vaccino, più delicato. In quel caso il formaggio va fatto filare e necessita di una preparazione un po’ più lunga. C’è chi mette nella farcia la buccia finemente grattugiata di un limone bio, chi non mette nulla. A Tula si aggiunge del prezzemolo. A Ovodda, dove i cugini della seada, i pitzudos, sono un piatto tipico, si aggiunge al formaggio un po’ di patate di montagna bollite e ridotte a purea.


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Due poi le scuole di pensiero per il miele: la prima vuole la seada sia cosparsa di un miele delicato, tipo millefiori, la seconda di un miele caratteristico, come quello amaro di corbezzolo o persino di castagno. Ci sono infine coloro che al miele preferiscono cospargerla di zucchero, magari grezzo di canna.

A Tokyo va fortissima una seaderia, escogitata da un giapponese innamorato della cucina sarda, che ne ha fatto un prodotto di successo anche nel Sol Levante.

Un’altra particolarità della seada è costituita dal fatto che si consuma appena fatta, ancora calda, mentre la maggior parte dei dolci sono frigo conservati o a temperatura ambiente. Questa particolarità garantisce la freschezza e l’incomparabile fragranza del prodotto.

Crediti foto di copertina @Saneve

 

 

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