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Pietropaolo Martinelli e la speranza di Farindola con il suo formaggio

di:
Marco Colognese
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pietropaolo martinelli pecorino di farindola copertina 970

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Il Pecorino di Farindola


Nel corso della storia di un prodotto ci si può imbattere in tragici imprevisti come quello che ha coinvolto Pietropaolo Martinelli, il quale da quindici anni dedica il suo lavoro al Pecorino di Farindola. Ci racconta quel che è accaduto nella nona puntata di Viaggiando tra le Storie del Gusto, a bordo di Volvo XC90.

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Gennaio, una nevicata eccezionale in quest’area del versante orientale del massiccio del Gran Sasso, una di quelle mai viste anche da chi alla neve è abituato. Tanta, troppa neve fa crollare una parte importante delle stalle: sotto le macerie le pecore destinate alla produzione del latte di questo formaggio raro. Pietropaolo non si dà per vinto e non si ferma, le quantità, già abitualmente ridotte, per quest’anno saranno ancora più modeste, ma il Pecorino di Farindola si farà di nuovo.

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Le più antiche notizie su questo grande prodotto risalgono all’epoca romana, con alcune citazioni del “formaggio dei Vestini”. La denominazione attuale è stata adottata all’inizio del ‘900. Un formaggio unico nel suo genere, nel quale si utilizza un caglio molto particolare che è quello del maiale, preparato secondo un’antica ricetta dalle donne di questa territorio.

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Sì, perché un altro elemento di originalità è la lavorazione, rigorosamente a latte crudo, consentita tradizionalmente soltanto a mani femminili: quello di Farindola è conosciuto infatti anche come il “pecorino delle donne”.

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Le pecore, discendenti dalla razza Pagliarola Appenninica, sono allevate allo stato brado sui pascoli. La cagliata viene rotta in grani molto piccoli, e la massa viene inserita nelle fuscelle di vimini che conferiscono alla crosta le tipiche striature. A seconda dell’invecchiamento essa, unta periodicamente con una miscela di olio extravergine d’oliva e aceto, si presenterà da color zafferano a marrone.

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Salate a secco, le forme vengono messe a stagionare da un minimo di tre mesi fino a un anno. Il formaggio ha un colore giallo pallido; piacevolmente pastoso, con una consistenza leggermente umida che regala un gusto tipicamente muschiato, in cui la sensazione piccante, anche nelle forme più avanti con la stagionatura, è perfettamente bilanciata da un’elegantissima dolcezza e dalla tipica nota di latte ovino.

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Eccellente gustato da solo, sia semistagionato sia a pasta dura, si apprezza accostato a un miele millefiori oppure a una buona mostarda, ma è ottimo anche con fave e fichi freschi o ancora con una fetta di pane casereccio. Un buon calice di Montepulciano d’Abruzzo è l’abbinamento enologico ideale per celebrare l’unione con questa meravigliosa terra.




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