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Antica, anzi neoantica: la Corona Reale di Gian Piero Vivalda sul trono di Cervere

di:
Alessandra Meldolesi
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Antica, anzi neoantica: a Cervere la Corona Reale intronizza la cucina di Gian Piero Vivalda. Un indirizzo cult del Piemonte, dove la tradizione è trapiantata nel presente completa del suo pane di terra.

La Storia

La Storia del ristorante Antica Corona Reale


Due secoli: è antica per davvero la corona del più nobile ristorante piemontese. Nascosto in un insospettabile interno di Cervere, fra caseggiati moderni per i quali fatica a insinuarsi il profumo dei fasti che girano sullo spiedo, simili a pianeti di un sistema gastronomico bene oliato. Eppure nel giardinetto sotto il ballatoio l’atmosfera è già quella di una grande maison, con la spicciolata bianca dei cuochi che attraversa lo sguardo degli ospiti seduti ai tavoli, nell’atto di sorseggiare un calice di Champagne di fronte a stuzzichini che mettono subito il territorio in chiaro. Salsiccia di Bra innevata di tartufo bianco, in stagione, oppure passata nella polvere di nocciole; un cubo di petto di gallina di Saluzzo con salsa tonnata in stile finger food.

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“Neoantico” hanno chiamato i filosofi quel pensiero dove passato e futuro si contraggono in un tempo meticcio, detto “ancient future”, quando l’innovazione tecnica si alimenta all’attrattiva che le civiltà remote esercitano sull’immaginario. Ed è qualcosa di simile a baluginare sul metallo prezioso della cucina, grazie a un’operazione tutt’altro che ingenua, portata a compimento dallo chef patron Gian Piero Vivalda, esponente della quinta generazione di una famiglia ininterrottamente china sui fornelli. “Prima di me, in quella era stata una posta per cavalli, lavorava mio padre, tanto che eravamo conosciuti col nome di Renzo a Cervere; e prima ancora mio nonno Eugenio, che mi ha tirato su, portandomi a caccia e a pesca. Quando rientravamo ci mettevamo a cucinare per noi due ed è stato così che ho imparato a preparare la finanziera, la trippa, i pesci di fiume in carpione, le lumache e le rane.

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La trattoria era sull’orlo della chiusura, forse perché non si era saputa rinnovare; io lavoravo in giro per il mondo e ogni tanto, rincasando, davo una mano ai miei genitori. Fra una stagione e l’altra mi fermavo e introducevo qualche piatto che avevo imparato, ma avevo la testa altrove. Nei primi anni ’90 si trattava di decidere chi dovesse prenderla in gestione e nessuno la voleva, tanto meno io. Per 60 anni non era stata cambiata una mattonella e per intere settimane poteva succedere che non passasse nessuno. Nel ’92 mi sono finalmente risolto e dopo due anni ho sostituito l’insegna. Su una guida Touring di inizio Novecento avevo letto di una Corona Reale a Cervere ed era proprio questo posto. È stato così che nel 1997 siamo entrati nelle Osterie d’Italia; nel 2003 abbiamo ricevuto la prima stella e nel 2009 la seconda, mentre anche l’Espresso ci premiava. Riconoscimenti che oggi mi sembrano perfino eccessivi”.

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“Nel frattempo non mi sono certo fermato, ma ho continuato a compiere le mie esperienze all’estero. A segnarmi è stato soprattutto Georges Blanc, che mi ha fatto capire come si ragiona in un grande ristorante. A buttare via la roba del giorno prima e soprattutto a investire sulle materie prime locali. Un grande maestro. È stato fondamentale anche Alain Ducasse al Plaza Athénée. Ricordo che un giorno mi chiese: ‘Che fai?’. E io: ‘Un pollo’. ‘Chiedigli di diventare il pollo più buono del mondo’. Una frase che per un cuoco è un’iniezione di adrenalina: resta il mio obiettivo, qualsiasi cosa cucini. Per me è il Maradona dei cuochi, una fonte inesauribile di ispirazione. Ma nel pantheon ci sono anche i nostri: Nadia Santini, Ezio Santin, Alfonso Iaccarino, Gianfranco Vissani, che ha un palato incredibile, o Massimo Bottura. Perché bisogna guardare i più bravi, sempre”.

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La cucina però non ha dirazzato, evitando vezzi da parvenu. Piuttosto ha trapiantato una tradizione antica e localista nel pieno campo della contemporaneità, completa del suo pane di terra. Che significa innanzitutto “prodotto”, autentica ossessione di Vivalda. È qui che si compie quell’innesto di “ancient future” che rappresenta il principium individuationis del ristorante: nei due orti che d’estate coprono il 100% del fabbisogno con vegetali autoctoni come nella stalla di Cervere con i suoi 300 vitelli piemontesi, allevati con la macelleria del paese, partner da quattro generazioni. “Perché l’idea può essere quella di sempre. Ma ci sono 4 o 5 passaggi che decidono una ricetta. Che il cuoco usi le migliori carni, le migliori verdure, il migliore Marsala o Barolo nel fondo. Solo in questo modo può riuscire al 100%. La tecnica segue, per esempio il forno a legna che ho introdotto per cuocere il capretto o le anguille”.

I Piatti

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“La mia cucina è un continuo itinerare di idee e di colori, senza mai varcare i confini della provincia di Cuneo. L’obiettivo resta quello di Ducasse: fare il piatto più buono del mondo. Nel caso del capretto, per esempio, con le bestie di Roccaverano scelte da noi e allevate come vogliamo, cotte sulla legna migliore e servite insieme agli spinaci più buoni dell’orto e un piccolo jus tirato col Barolo di Bartolo Mascarello. Poi il tempo: perché sulle braci la carne resta almeno 6 ore. Ogni anno sono un centinaio di esemplari, poi il piatto esce di carta. Ma la nostra filosofia è sempre quella: lavorare l’animale intero”.

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L’icona del ristorante è tuttavia l’uovo in cocotte al tartufo bianco di Alba, incandescente quale splendor solis e coreografico nell’emulsione al tavolo. Un piatto che sospende l’amarcord di una trattoria ancora viva in carta, nonostante la metempsicosi in grande ristorante: la finanziera in doppia cottura, con i filoni e le cervella fritti, è ancora quella di papà Renzo, fedele al rito trasmesso dal nonno e dal bisnonno. “Forse il piatto più lungo e laborioso da preparare, come la lièvre à la royale, altro caposaldo di una cucina fantastica. Ma è per la cocotte che la gente macina chilometri. Nel 2004 volevo una ricetta che non facesse nessuno. Così ho ideato una preparazione della fonduta ispirata alla tecnica della ganache, ma con il Raschera d’alpeggio, montata senza la frusta con il latte tiepido”. Emulsionata al tavolo con il tuorlo, porta in trionfo l’immancabile tartufo di Alba, facendo volare una cucina che diventa profumo. Perché le emozioni, insegna Bachelard, sono categorizzate secondo il loro peso relativo, in base a un’ascensionalità che replica la stazione eretta dell’uomo. La tristezza è bassa e terragna, la gioia aerea e volatile, la libertà pura assenza di gravità. “L’aria è la sostanza stessa della nostra libertà, la sostanza della gioia sovrumana”. Insomma il tartufo è gioia.

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La brigata di sala è guidata da Davide Ostorero, noto ai gourmet dall’età dell’oro di Cracco-Peck, impeccabile ben oltre la presenza fisica, fra i migliori nel suo ruolo in Italia. Il menu degustazione, composto di 5 corse, costa 90 euro, 120 con abbinamenti al calice; nella stagione del tartufo 200. Per accompagnarlo riposano in cantina 900 etichette, in maggioranza piemontesi e francesi, fra cui spiccano i grandi formati di blasoni non meno reali del ristorante.

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Tutte le fotografie sono di Davide Dutto

Indirizzo

Antica Corona Reale

Via Fossano 13 - Cervere (CN)

Tel. +39 0172 474132

Mail: info@anticacoronareale.com

Il sito web di Antica Corona Reale

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