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Dentro il nido della Capinera: la Sicilia secondo Pietro D’Agostino

di:
Alessandra Meldolesi
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Prodotti locali, contrasti siciliani, vivacità mediterranea e modernamente green: a Taormina la Capinera vola fra le stelle.

La Storia

La Storia di Pietro D'Agostino


Whatsapp è sempre aperto nella notte, per restare in contatto permanente con i pescatori che da un momento all’altro possono inviare la foto di un grosso branzino con la didascalia “Lo vuoi?”, tanto spietata è la concorrenza fra i ristoranti di Taormina per le migliori prede locali. Ma la sveglia sul comodino di Pietro D’Agostino resta comunque puntata alle 6, in modo tale da essere presente sul piccolo porticciolo del paese all’arrivo delle barche a contrattare. “E non so mai quel che troverò: ai miei ospiti do il possibile e in caso di maltempo mi arrangio; oggi invece ho comprato meraviglie: triglie vive, lampughe di stagione, nuovamente spada dopo il fermo pesca. Capita pure che i pescatori, ormai anziani, non escano per un acciacco e questo accresce l’aleatorietà”. Prima di grattare scaglie su livree che verranno tutte consumate in giornata, con l’ovvia eccezione del crudo, la tabella di marcia però segna anche una visita al piccolo mercato dei contadini, sui cui banchi verdeggiano erbe spontanee e verdure di campagna.

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Una routine impegnativa, per uno chef che da oltre dieci anni lavora al rinascimento gastronomico della Sicilia. Nato a Taormina, svezzato da nonna Vincenzina, paraprofessionista dalla porta di casa sempre socchiusa per gli ospiti, diplomato al locale alberghiero, poi passato al setaccio di grandi alberghi inglesi e svizzeri, al Louis XV di Alain Ducasse e alla Terrazza dell’Eden di Enrico Derflingher, oltre che sulle navi da crociera. “Una formazione classica e internazionale, poco attenta alla stagionalità, che a un certo punto ho sentito l’esigenza di dimenticare per tornare a sensazioni più mediterranee. Quando nel 2003 sono rientrato a casa e ho aperto La Capinera con le mie sorelle Cinzia e Giorgia, che lavorano in cantina e in sala, ho fatto una scelta: quella di lavorare solo materie prime siciliane, fin dal primo giorno. E da quel momento è stato un crescendo, grazie a una rete sempre più fitta di produttori di nicchia. Il pastore che porta la ricotta e i formaggi di capra girgentana, i pescatori che arrivano sporchi di sabbia con le cassette del giorno”.

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Il premio nel 2007 è stata la stella Michelin, ma la cucina non ha smesso di evolversi.  “Stiamo diventando sempre più green: dieta mediterranea significa vegetale e stagionalità. Adesso stiamo lavorando su carciofi e asparagi selvatici, che con l’amaro contrastano a meraviglia la dolcezza del pesce.  A chi mi chiede di definire la mia cucina, rispondo: ‘il lusso della semplicità’, perché anche una buona pasta al pomodoro bisogna saperla fare. Non basta certo spaccare un cuore di bue; occorrono almeno tre varietà di bacche ben mature. In generale mi sto avvicinando alla natura: utilizzo pietre, legni, lastre di sale. Storicamente in Sicilia chi non poteva permettersi il pesce faceva bollire l’acqua con i ciottoli, in modo da catturare il profumo del mare. Era il segreto della pasta con il pesce fujuto. Anche io utilizzo i sassi, quelli del mare poco sotto il ristorante, scaldati a 200 °C per poi cuocervi la ricciola, che così succhia la sapidità e lo iodio”.

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Il nido de La Capinera, infatti, è lontano dalla frenesia del paese turistico: la vista è praticamente a perpendicolo sul mare, oltre i vecchi binari della ferrovia. Si presenta come un locale dinamico e perfino popolare, con i tavolini della terrazza perennemente in sold out. Merito anche di prezzi contenuti: Profumo di mare con le sue 6 portate più extra costa 75 euro; Terra di sapori, che ne conta altre 3, 90. La carta dei vini che li accompagna è corposa: conta 1200 referenze fra cui brillano la Sicilia e in particolare l’Etna, “la nostra Borgogna”. Nel cestino dei pane, con grissini e sfoglie,  si accalcano 7 tipologie a base di lievito madre e grani antichi (russello, timilia, perciasacchi).

I Piatti

I piatti sono siciliani nell’ingredientistica, ma soprattutto nella composizione, che sfodera continui contrasti identitari, fra dolce e sapido, oppure amaro ed agro, quelli che la semiotica ha ascritto al continuum barocco contro il discretum classicista. Succede fin dal benvenuto: la crema di lenticchie di Ustica con gamberi rossi di Mazara al naturale, ricotta e ricci. “Perché mi piace partire dal crudo, la massima espressione del mare”; celebrando nel contempo i riti della liquidità calda a inizio pasto, su uno schema che resta tutto italiano.

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Ma la passione dello chef sono gli antipasti. Il crudo del mar Ionio è un piatto storico, che trova il twist in una presentazione tanto semplice quanto originale: la composizione è variabile, nel nostro caso seppia passata a bassa temperatura, dentice, ricciola, spada, gamberi rossi, presentati però come un’insalata di mare anziché separatamente. Completano il piatto cipollotto di Giarratana, crema e scorze candite di arancia novellina, per il contrasto già descritto, crema di mandorle pizzute di Avola, salsa di acciughe masculine da magghia (un presidio slow food).

Le composizioni sono infatti complesse e bilanciate. Vedi Passeggiata in Sicilia, epitome di un’isola totale composta di polpo cotto al vapore secco, per salvaguardarne l’integrità, e piastrato, cipolla di Giarretana, mandorle pizzute di Avola, datterino di Pachino confit, crema di dolcissima melanzana violetta (“un ortaggio che noi siciliani metteremmo anche nel cappuccino, tanto ci piace, che dal miele ricava note di malto”), salse di peperoni e di zafferano in rappresentanza delle diverse province. La materia in assolo, perimetrata da punti vegetali e speziati.

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Il baccalà, specialità di Messina, viene cotto a 45 °C nell’olio, per non alterare le molecole, e servito con una zuppetta di lattuga e un tortino di burrata ma di Ragusa. Mentre la triglia viene farcita di porcini e patate di Giarre, poi avvolta nel lardo di suino nero dei Nebrodi, per la sapidità sul selvatico, passata nel pane aromatizzato alle erbe e croccantata. Viene servita su una salsa di finocchio, con un effetto porchetta che richiama l’Artusi.

Gli agnolotti sono preparati con una sfoglia di uova di Silvio, della zona etnea, e farina mista di tumminia e russello, grani autoctoni siciliani; una farcia di cernia, patate e finocchietto selvatico. Sopra ciascuno di essi è adagiato un frutto di mare scaldato sotto la salamandra (scampo, gambero, cozza, vongola). Il condimento è una classica zuppa di crostacei, sorta di bisque siciliana a base di scampi e gamberi rossi.

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Per secondo arriva il dentice cotto a bassa temperatura con seppia fritta nel couscous, per il contrasto di consistenze, melanzana alla brace al ristretto di Marsala, zuppetta di finocchi; viene affumicata al caffè arabica sotto la cloche, in omaggio al gusto locale.

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Dopo il predessert (un sorbetto di passion fruit di Fiumefreddo, vicino a Taormina, per la scossa acida), l’usanza locale diell’happy end a base di frutta secca assume le sembianze di un tortino di pistacchi di Bronte con gelato alla nocciola di Sinagra, sui Nebrodi, e zuppetta di Marsala a riprendere il filo con profumi ossidati.

 

Indirizzo

Ristorante La Capinera

Via nazionale 177 - 98039 Taormina-mare Loc. Spisone (Me)

Tel. +39 0942 626247

Mail: info@pietrodagostino.it

Il sito web del ristorante

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