Ristoranti di tendenza

Un nuovo format senza precedenti in Italia: cosa si compra e cosa si mangia da Satura di Cristiano Tomei

di:
Alessandra Meldolesi
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Un po’ altro mercato, un po’ altro mangiare, un po’ libera repubblica gastronomica e punto d’incontro per tante iniziative. Cristiano Tomei spiega Satura, una realtà senza precedenti in Italia, Hub & Lab multidisciplinare della gastronomia lucchese.

La Storia

La Storia di Satura


Anarchia gastronomica, immaginazione al potere. Si va configurando come un collettore di intelligenze e iniziative senza eguali, Satura. Un po’ altro mercato, con i suoi banchetti in fila al piano terra, un po’ altro mangiare, sui tavolini che li fronteggiano. Soprattutto, al piano rialzato, uno spazio libero di condivisione e coworking per quella che ormai è una piccola comunità: cuochi, foodies, gente del vino, comunicatori e fotografi, amici per i quali tavola significa condivisione. Fuori dall’Imbuto sulla Lucchesia

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Sembrava dovesse essere l’ennesimo capannone svuotato dalla deindustrializzazione, quello di via Nazario Sauro 513. Fin quando l’amico Lido Vannucchi non l’ha messo nel mirino: “Avevo il problema di una cucina risicata all’Imbuto, negli spazi del Museo Lu.C.C.A.. Condizione che tra l’altro ha propiziato qualche bella intuizione, come la cottura di polpi e piccioni in sospensione sulla stufa, oltre a costringerci a lavorare solo il fresco.

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Ma così scoppiavamo e cercavo uno sfogo, dove poter preparare qualche base e anche il catering, confezionare conserve con le eccedenze stagionali dei contadini e soprattutto investigare in un laboratorio. Poi parlandone con Lido Vannucchi da cosa è nata cosa, perché di spazio ne avanzava. E siamo ancora in fase sperimentale. È un posto nato senza volerlo, un po’ come la mia cucina, e questo lo rende ancora più bello. Chi lo vede si innamora”, racconta Tomei, promotore e titolare.

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“Vendere e mangiare: un unicum in Italia, a parte Eataly, che è completamente diversa. Poi ci sono gli uffici sopra, quasi tutti affittati. E un’agenda di degustazioni, nuovi format come la visita di chef e barman, alla riscoperta della cocktailerie italiana, sagre dello Champagne o del pinot nero, la riedizione di Foodstock ed eventi musicali, con a fianco una scuola di musica e presto una scuola di barman. Io passo ogni mattina, ma sto cercando di responsabilizzare Lapo Gianni e gli altri ragazzi. È qui che portiamo le verdure del mio contadino, la cui mamma mi addomestica i semi, il pesce dei pescatori e i prodotti della raccolta trisettimanale, come il ginepro, l’elicrisio e le cortecce prese sulle dune, erbe di mezza pianura, collina alta o montagna, che puliamo con calma.

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Mi trovo con le brigate di qui e di là e decidiamo come cucinare i prodotti. Per esempio i granchi dell’Elba al barbecue per gli spaghetti o il riso estivo all’olio di buccia di anguria; si smista tutto nel tentativo di non buttare via nulla, con le parti più nobili all’Imbuto. E la collaborazione con i produttori è continua, che si tratti dei formaggi di Andrea Magi, Pierpaolo Piagneri o Casa Madaio, delle erbe della Maestà della formica o delle carni fresche e lavorate di Michelangelo Masoni. Con loro studiamo e approfondiamo nuovi prodotti, per me è stimolante ma credo che sia divertente per tutti. L’Imbuto è il mio cuore, ma questo deve diventare un hub per la circolazione delle idee”.

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Postindustriali al primo piano, dove si concentrano gli uffici e si sparpagliano gli eventi, gli arredi sono vintage nel ristorante, con le carte da parati alle pareti. E le stoviglie, anche in vendita, arrivano dal magazzino della fabbrica di ceramica, ormai chiusa da dieci anni. “Cerchiamo di fare qualcosa di popolare, ma voglio anche autocelebrarmi un po’ con i piatti che hanno fatto la storia dell’Imbuto: il millefoglie di melanzane e toma, per esempio, in versione trattoria. La gente si aspetta la mia cucina e io gliela do in modo semplice, così da creare un marchio”. Lo scontrino medio si aggira sui 30 euro, con una carta del giorno non scritta di 4 antipasti, 4 primi, 4 secondi e 4 dolci, più i piatti fissi, come ostriche, acciughe fritte, formaggi e salumi, a un costo massimo di 10 euro.

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Nel comparto bevande tante piccole aziende che hanno qualcosa da raccontare, con 500 etichette italiane o francesi, spesso ma non necessariamente naturali o biodinamiche. Più una nutrita selezione di birre artigianali prevalentemente estere. In gran parte in vendita sugli scaffali.

I Piatti

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In apertura l’insalata di verdure, fermentate separatamente tipo giardiniera, è un piatto di carattere, dove le memorie ancestrali delle pratiche contadine sfumano in suggestioni boreali cutting-edge. “Ho imparato da mio nonno Elio, contadino, che teneva i barilotti di legno in cantina per le eccedenze”. Sul piatto con l’erborinato di Andrea Magi, per la grassezza e la sostanza su un’acidità alle stelle.

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Fra i primi la minestra di riso al pomodoro pisanello, o pizzuto fiorentino, mantecata al burro della manteca di Casa Madaio e servita dentro il formaggio stesso, che rilascia via via il suo gusto. Cosicché il piatto cambia continuamente. Sopra foglie di ingrassaporci; all’interno un goccio di Kriek, da sempre passione di Tomei. “Cuoce con il pomodoro in modo da spingerne sia la dolcezza che l’acidità, senza stravolgerlo”.

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Oppure i tortelli ripieni di Bufalotta, una ricotta di bufala fermentata e piccante sempre di Casa Madaio, e pomodoro verde pestato, con l’artemisia per amplificare; sono serviti in un brodo di scarti di melanzane affumicate, perché è l’ortaggio arrivato al mattino. Così da disassemblare e financo stravolgere ciò che la memoria sterilizzerebbe. Un piatto pulito e acido, quasi “paradossale” a detta dello chef nella freschezza che sprigiona.

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Fra i jolly (perché a parte i primi, facilmente identificabili, la carta elenca pietanze per sequenza a piacere) la pizzettina di grano arso di Altamura con piselli coltivati e selvatici, baccelli e fiori, ricotta di bufala, erbe in varie gradazioni (origano, nepitella, ravanelli selvatici) e fragole alla Lambic, “lunghe come un peperone più elegante” grazie alla marinatura.

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Il pollo è cotto al barbecue, con un esito di leggera affumicatura, poi rigenerato in olio bollente a tocchettini e servito con ravanelli fermentati e pesche, su una salsa tipo panna acida al rosmarino. In una crasi di frittura e brace, con il cuore fondente e la superficie croccante.

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Per chiudere l’insalata di fragole con menta d’acqua, vino rosso giovane, zucchero e lievito di birra spento a 120 °C, ridotto in polvere e stemperato a mo’ di zuppetta per l’effetto pane, vino e zucchero. Alla ricerca del tempo perduto.

Tutte le fotografie sono di Lido Vannucchi

 

Indirizzo

Satura

Via Nazario Sauro 513 – 55100 Lucca (LU)

Tel.+39  0583 48182

La pagina facebook di Satura Lucca

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